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biografia: 

Curriculum

Adolfina De Stefani
Si laurea in architettura nel 1975 a Venezia con una tesi sulle problematiche abitative per studenti con Veleriano Pastor. Ha insegnato al Liceo Artistico Amedeo Modigliani dal 1970 al 2000. Attiva nel campo artistico già dalla seconda metà degli anni ’60 e coinvolta in svariati progetti e collaborazioni parallele, ama esplorare spazi e strutture come gallerie e archeologie industriali, musei e spazi aperti, soprattutto in contesti naturali, segnandoli con il suo inconfondibile segno artistico che spazia nei più diversi ambiti dell’arte contemporanea, dalla pittura alla performance, dal design all’architettura. E’ presente alla 52° Biennale di Venezia. Segnalata come migliore opera dai critici Riccardo Caldura, Lucie Syklova, Chiara Casarin nell’ambito del progetto internazionale “WELCOME” 2010/2011 con l’installazione di Adolfina De Stefani /Antonello Mantovani “ACCOGLIENZA Riflessioni e Provocazioni….il muro” al Parco del Contemporaneo VENEZIA/MESTRE pad. 36. E’ presente al MART di Rovereto TRENTO nella giornata del contemporaneo del 2010 con un progetto a cura di Vittore Baroni, a Città di Castello nell’ambito del Festival delle Nazioni; a Modena al Festival della filosofia.
Espone in Italia a Padova, Venezia, Milano, Roma, Brescia, Trento, Ferrara, Napoli, Viareggio all’estero a New York, Parigi, Londra, Madrid, Salonicco Ex jgoslavia.

Adolfina/Alice

Io amo molto gli alberi di Adolfina De Stefani (v. Catalogo Contaminazioni, 2010). Essi fanno subito pensare alle vite vegetali di Alice nel paese delle meraviglie, in particolare al “Giardino dei fiori viventi”, dove i fiori dichiarano stizzosamente di saper parlare bene quanto gli umani. Adolfina configura e tratta i suoi alberi come dotati dei mutevoli umori, delle espressività e delle stigmate del tempo che sono propri degli umani. Li tratta con simpatia, compassione, con pazienza e impazienza, e anche con ironia. Attenta e sensibile alle loro capacità di mutazione, benché (sempre in Contaminazioni) dica “L’albero è superiore ad ogni tentativo di trasformazione”, intendendo però che all’uomo non è lecito piegare gli alberi e altri viventi alle sue voglie di trasformazione. La natura umana stessa è ricca di potenzialità trasformative. Esse ci sorprendono per es. nei tarocchi raffigurati da Adolfina (M. Poltronieri e E. Fazioli, Arcani Maggiori di Adolfina, 2009) dove l’artista pone in gioco il suo corpo per creare convergenze perfette tra l’immagine corporea costruita di volta in volta in modo diverso e il tema degli arcani da significare. E si liberano, tali potenzialità, e lievitano attraverso l’opera, attestando di non voler essere represse, mortificate. Ciò significa che può crescere indefinitamente la popolazione del mondo (niente paura!) grazie all’invenzione artistica che immette in questo mondo di identità e di ordine già dati altri liberi mondi, visibili ma anche invisibili, e altre esistenze dall’identità fluente e mutevole, in costante formazione e dissoluzione.
Il che pure significa una lievitazione dell’esperienza che a sua volta può operare metamorficamente a modificare e a spostare i limiti della cultura umana. Grande responsabilità dell’artista dunque, e per artista io intendo anche il poeta che è nel filosofo e il poeta che è nello scienziato. Ma l’artista non è solo in tale responsabilità: attivo infatti nella creatività dell’esperienza nuova e liberata è anche il suo pubblico, non più passivo spettatore al cospetto di un ‘prodotto’ artistico confezionato, se prestiamo come dobbiamo ascolto in specie ai neuroscienziati che provano ogni giorno di più la potenza del nostro portentoso cervello e l’intelligenza di sue aree motorie (quelle dei neuroni specchio per esempio) attivanti la partecipazione neuronale dell’osservatore alle azioni altrui osservate, ciò che porta a concepire al di là di un’identità individuale ristretta una identità sociale, potenzialmente partecipativa e collaborativa: l’empatia appunto che pone in azione, anche da fermo, il corpo dello spettatore di opere figurative o dell’ascoltatore di musica etc. L’emozione artistico-estetica è incarnata nel corpo (embodied simulation), è un’espressione del corpo, circolarmente congiunta certo all’attività mentale-cerebrale.
E a tal proposito chi non sarebbe curioso, emulativamente, di passare dall’altra parte dello specchio di Alice? Sembra impossibile: non lo è, a condizione di non pretendere dal linguaggio dell’immagine che esprima esattamente ciò che da esso vuole il senso comune o ciò che il senso comune vieta. Non occorre forzare lo specchio per passare, si può restare anche fermi, e compiere con la propria mente – che lo effettua automaticamente – il gesto di Alice, e ciò basta per entrare nel suo mondo e al tempo stesso provocare e aumentare la nostra esperienza.
Mi sembra oramai indispensabile sottolineare, quando si parla di arte, la sua connessione alla considerazione biologica.
Cos’altro fa l’artista Adolfina De Stefani infatti se non porre in azione nel gesto artistico e nelle sue immagini il proprio corpo? V’è in tutta la sua iconografia, dalle ibridazioni ai tarocchi agli alberi ad Alice, un percorso di continuità nella liberazione di corpi viventi e di oggetti – questi pure come nella fase di Alice sentiti vivi – dalle identità cristallizzate, anzi mummificate; e come lei gioisce dell’allearsi alla tenera sovversione semantica di Alice, noi ci alleiamo con Adolfina per gioirne a nostra volta – empatizzando pure col sovvertimento dell’ordine imposto dal senso comune allo spazio fisso e alla successione temporale.
Questa convergenza emozionale indica l’esistenza di una soggettività più vasta e più flessibile, alla quale quelli che apparivano come paradossi d’artista, o di un poeta come Lewis Carroll, da confinare in teche mentali e ornamentali, non appaiono più stravaganze espressive ma espressive dimensioni della natura umana e della cultura in tale natura radicata. Adolfina non poteva con Alice catturare un complesso immaginale più adatto per il sovvertimento di realtà convenzionali e codificate in forme sulle quali agire per liberarne immagini e gesti prigionieri. Entrando in Alice, Adolfina vi immette spazio nuovo e tempo nuovo, narrazione nella narrazione, accrescendo così il mondo di Alice, ma anche il mondo proprio e il mondo del partecipe spettatore. E si serve per questo fine di una gestualità inedita, che associa al naturale l’artificiale, al noto lo strano, e anche di ibridazioni, che dicono la solidarietà possibile di sostanze e vite le più diverse e mostrano tendenze forti del nostro tempo:

La nostra vita mentale è straordinariamente ibrida e flessibile

afferma il neuroscienziato Antonio Damasio. E mi sembra una clausola ben consonante con l’opera di Adolfina De Stefani.
Rubina Giorgi

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