Beatrice Meoni - Tra un atto e l'altro
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Beatrice Meoni - Tra un atto e l'altro
Comunicato
C’è qualcosa di inedito nei lavori che Beatrice Meoni presenta per la sua seconda personale da Cardelli e Fontana, Tra un atto e l’altro: l’abbandono di un soggetto ricorrente nei suoi dipinti - la natura morta come ritratto di un oggetto parziale e fratturato; un sotteso, ma insistito rimando a un episodio autobiografico: una banale caduta e la scoperta, in età adulta, di un corpo fragile. E di una diversa postura (anche di fronte all’immagine), basata sulla “propriocezione”, il senso della posizione del proprio corpo nello spazio attraverso uno sguardo rivolto all’interno. Una pittura cieca, che approda all’immagine del corpo e che, in qualche modo, si appropria di un’esperienza che appartiene al corpo dell’artista.
Il corpo dei dipinti di Meoni può dunque assumere sembianze diverse: accenno a una figura, che, esangue e provvisoria, si muove in cerca di una collocazione e di una precisa posizione nello spazio (è quello che avviene in un dipinto di piccole dimensioni, dai toni insolitamente cupi e profondi, in cui i contorni di un vaso si aprono alla possibilità di diventare un paesaggio abitato); visione parziale e ravvicinata – di gambe femminili che muovono dei passi su un terreno infido, o di teste decollate, posate come oggetti su un piatto/ripiano. E poi corpi alle prese con una caduta, con una postura disarticolata; o agglomerati di arti, di braccia e di gambe, che si piegano in movimenti implausibili, distendendosi e finendo per appropriarsi della superficie del quadro fino a sfiorarne i margini e gli angoli.
A questo tentativo di racconto del corpo come forma in subbuglio, in evoluzione, irriducibile ad un’unica definizione, come immagine che si manifesta al di fuori di una solida articolazione in figura e sfondo, corrisponde uno sviluppo della spazialità interna al dipinto come successione di piani movimentati e instabili; della superficie come combattimento e partitura frastagliata, balbuziente, capace di accogliere gesti irrisolti, brani di pittura cieca, piccole derive verso l’astrazione.
Tra un atto e l’altro, il titolo della mostra, è quello di un romanzo di Virginia Woolf che ha idealmente accompagnato la gestazione dei dipinti e allude alla consapevolezza del processo pittorico come successione di tempi intermedi, improduttivi, movimenti e passaggi interstiziali (continui aggiustamenti di cui l’immagine reca inevitabilmente traccia), e a una inesauribile ridefinizione di una postura, non solo quella delle figure, ma anche quella della pittrice e del suo corpo di fronte al quadro.
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