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Tra mito e logos, il Mediterraneo di Massimo Ruiu

Il mare e in particolare il Mediterraneo, culla di antiche civiltà, del mito e del logos occidentale, ma anche tragico scenario contemporaneo di naufragi, vissuti ogni giorno da centinaia di migranti, è da sempre al centro della poetica di Massimo Ruiu (San Severo, 1961). L’autore declina - attraverso differenti linguaggi e materiali - le sfaccettate valenze simboliche e metaforiche del mare e dell’acqua, riportando alla memoria collettiva il mito omerico delle sirene e del loro potere seduttivo. E lo ha fatto nella mostra “Dalmare”, a cura di Anna D’Elia e Rosemarie Sansonetti, da poco conclusa al Museo Nuova Era, nel cuore del centro storico di Bari. Ad aprire l’esposizione, l’installazione “Alta Marea”, un lavoro inedito formato da specchi e vetri accatastati alle pareti della galleria, sui quali campeggiano pesci e crostacei dipinti con vivaci cromie. “Ho tratto ispirazione - spiega Ruiu - da una suggestione evocata dalle lastre di vetro e dagli specchi rotti accostati alle pareti dei laboratori delle vetrerie e ho sempre associato questa stratificazione di trasparenze e riflessi all’idea di una marea di acqua cristallina che monta, attraversata da pesci che trasformano il vetro in acqua, il vetro in mare”. Chiaro riferimento e fil rouge dell’opera di Ruiu è, a detta dello stesso autore, il mare racchiuso in una stanza: quel mare “domestico” dipinto da de Chirico, emblema delle profondità dell’inconscio e luogo simbolico del percorso esistenziale affrontato dal viandante senza meta. La poetica dell’assenza di Ruiu ricorre nell’opera “Perché la prima cosa che perde chi si abbandona all’acqua sono le scarpe?”, formata da un paio di scarpe immerse nell’acqua marina, contenuta in una grande boccia di vetro. Un’allusione al “naufrago ignoto”, disperso nelle acque del Mediterraneo. Lastre di marmo sconnesse, che recano sulla loro superficie pesci disegnati in grafite, formano poi il “Mar mosso”, installazione allestita nel piano inferiore della galleria e sormontata da due gruppi di frammenti in marmo, imbrigliati a loro volta in reti da pesca fissate sul soffitto. E’ questa una peculiare evocazione del mare che, come chiarisce l’autore, “dà un’idea di sospensione”, del “mare che viene sollevato verso l’alto”: “un’idea un po’ ascensionale della materia che si fa acqua, che si fa mare”, presente anche nell’installazione “Alta marea”. Sempre nel piano inferiore della Nuova Era, Ruiu ha rappresentato il mito ornitologico delle sirene attraverso un’installazione sonora che ha riprodotto il canto lamentoso della berta maggiore proveniente da una stanza buia, frutto di una collaborazione con l’ornitologo Rosario Balestrieri. L’uccello marino denominato “berta maggiore”, specie-simbolo del Mediterraneo conosciuta dai primi navigatori, emette un suono simile al lamento delle donne o dei bambini e che, come ricorda l’autore, “echeggiava nelle notti di luna nuova nel Mediterraneo, quando non vi era ancora la presenza ossessiva della luce che c’è oggi, e attirava i naviganti verso gli scogli, dove questi uccelli nidificavano nel buio più totale”. Da qui è nata, nella mitologia greca, la chimera metà donna metà uccello dalla quale discende la leggenda delle sirene che, con i loro canto ammaliante, conducono i marinai alla morte. Ruiu raffigura la chimera metà donna e metà uccello su piatti a parete di metallo e smaltati bianchi. E lo fa utilizzando un materiale particolarissimo, colmo di significati: i pallini di piombo utilizzati dai cacciatori.

 

Cecilia Pavone

 

Foto di Giuseppe Fiorello