LOBODILATTICE

The Line of Sight

Inaugura

Lunedì, 14 Dicembre, 2020 - 15:00

Presso

Rita Urso Artopiagallery
Via Lazzaro Papi 2

Partecipa

Thordis Adalsteinsdottir | Emanuele Becheri | Adrian Paci | Renata Poljak | Giada Giulia Pucci | Moira Ricci | Jelena Tomašević | ZAPRUDER Filmmakersgroup

Fino a

Lunedì, 14 Dicembre, 2020 - 19:00

The Line of Sight

Comunicato

RITA URSO è lieta di presentare la mostra The Line of Sight, che ripropone una selezione di opere già esposte in galleria nel corso della sua attività dal 2001, riunendole attorno a quel tema affascinante e misterioso che è lo sguardo. È lo sguardo ad “esporre” il soggetto in pittura e a presentarlo ai nostri occhi, disvelando l’invisibile. Le sue implicazioni rimandano non solo alla relazione tra l’opera d’arte e lo spettatore, tra ciò che viene guardato e chi guarda, ma anche al processo creativo in quanto tale e al farsi dell’opera d’arte. Nello spazio espositivo gli sguardi delle opere sprofondano nei nostri occhi e rimangono sempre attuali nel continuum della relazione visiva, da qui il titolo della mostra. Lo spettatore si ritrova ad essere idealmente avvolto e osservato, quasi scrutato. Il meccanismo che viene a delinearsi è uno scambio reciproco, una dinamica che si sviluppa su diversi livelli temporali e fornisce un dispositivo per riflettere sul mondo contemporaneo e sull’arte stessa.

 

Così nell’opera Gauguin (2010) dell’artista Thordis Adalsteinsdottir, gli occhi spalancati della figura si aprono sui nostri. La dimensione temporale interpellata è quella onirica che stimola un profondo stato di malinconia e di instabilità del sé. Gauguin è imprigionato su di una superficie piana, in assenza di prospettiva perché coperta abbondantemente da un colore vivace. Nel contempo le armoniose fantasie floreali, in cui il corpo sembra essere immerso, indicano una dimensione redentrice, e quindi una possibilità di felicità e rinascita.

Anche l’immagine fotografica di Renata Poljak Alice Or Where I Am Not Afraid (2002), rimanda alla fantasia onirica: l’artista si autorappresenta ad occhi chiusi, forse dormiente, distesa su un campo di papaveri rossi. Qui si compenetrano uno stato di incertezza e disorientamento di fronte alla realtà della società croata e del comunismo, con una presa di consapevolezza mista al desiderio di andare oltre. Il presente regna immobile nell’opera Life Interest (2008) di Jelena Tomašević. Il tempo appare sospeso nello sguardo di una donna oppressa contro una grande vetrata, a rappresentare l’impossibilità di realizzare sé stessa in un mondo in cui prevalgono stereotipi, una realtà in bianco e nero priva di ogni elemento emozionale. Il medium pittorico sembra irrompere in una scena di vita quotidiana dove fanno capolino ribaltamenti di luoghi di affezione in prigioni mentali, difficoltà e malesseri psichici, piccole e grandi violenze che turbano il sereno clima domestico. Nell’opera 20.12.53-10.08.04 (gemellini) (2005/2006) Moira Ricci intreccia il presente con il passato. L’artista si insinua in vecchie fotografie della madre per imprimere in modo indelebile la sua presenza anche in un tempo che non è stato condiviso. I suoi occhi la osservano, indagatori ma affettuosi. Con uno sguardo coraggiosamente disponibile a mettere in gioco la propria emotività, genera un effetto specchio in chi guarda il suo lavoro: è un atto di amore verso la madre, una forma di elaborazione della perdita, che trae però ulteriore forza nella rimessa in questione radicale delle relazioni tra chi guarda e l’oggetto dello sguardo. Le coppie sorridenti, conformi al cliché della “famiglia felice”, che Adrian Paci immortala pittoricamente in Icons (2001), sembrano non guardare direttamente lo spettatore. I loro occhi, impostati, sono diretti probabilmente verso l’obiettivo di una macchina fotografica. Quei visi hanno già perduto la loro identità individuale e quello che conta è la nuova identità di coppia, che il fotografo cerca di fissare. Con estrema essenzialità l’artista dirige l’attenzione sul potere collettivo esercitato dallo sguardo altrui, esprimendo dunque un comportamento ambiguo, che dapprima seduce lo spettatore per farlo accedere ad una sorta di album privato dei ricordi e poi gli impedisce di penetrarvi davvero, ponendogli di fronte lo schermo di un modello ideale. Il presente è anche connesso allo sguardo di Emanuele Becheri che, potentemente diretto a chi guarda, sembra rivelare la dimensione dell’attimo in cui nasce l’opera. I disegni di Va, pensiero… (2013) diventano la condizione in cui è possibile esperire e definire il proprio mondo. L’artista si autoritrae in modi bizzarri, sperimentando differenti travestimenti, mutilato, aiutato da bastoni che servono a mantenere il suo fragile equilibro in un mondo capovolto, e mettendo a nudo la propria condizione di marionetta irriverente che ride di sé stessa e del proprio pubblico, ad esibire l’infinita possibilità di metamorfosi dell’autore.  Lo sguardo enigmatico ed inquietante, presentato da ZAPRUDER Filmmakersgroup nel dittico Cordiale. Studio sulla visione binoculare. Ritratto di dama B e G (2017), mette in atto una riflessione interna alla loro pratica artistica-cinematografica, sulle conseguenze di una concezione stratigrafica del tempo, fatto molto spesso di sovrapposizioni piuttosto che di scorrimento. Lo sguardo strabico, laterale, da un lato frammenta la visione divaricandola in due punti di vista, dall’altro le sottrae quella riunione prospettica che permette una dimensione in profondità, tipica del cinema in 3D. Giada Giulia Pucci con Umano. Vestizioni al suk di Torino, 4/10/20 (2020) rappresenta, infine, uno sguardo senza tempo, assoluto, primitivo. Testimone della memoria del passato ma anche documentazione del futuro. Gli scarti trovati per strada con i quali si veste e si protegge divengono simboli dell'umanità, il suo sguardo si assimila a quello di tutti i popoli di tutti i tempi e registra tutti i mondi esistenti. Si tratta di uno strumento per la sopravvivenza perché, astratto dal contesto, analizza la realtà e si protende oltre, verso il nulla, ovvero verso la fine del mondo.

 

Gli occhi delle opere presentate in mostra si riflettono nei nostri ed introducono ad una pluralità di orizzonti temporali e di mondi possibili. La reciprocità intrinseca all’atto del vedere costituisce non solo un invito a conoscere e a prendere consapevolezza della realtà che ci circonda ma anche a resistere alle difficoltà dei momenti più bui, come quelli che stiamo vivendo, anche grazie al supporto che quegli sguardi attorno a noi sanno darci.

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