Ousmane Ndiaye Dago. Donna Terra
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Ousmane Ndiaye Dago. Donna Terra
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Donne senza volto, corpi su cui passato e presente, antiche ritualità e odierne questioni di genere s’incontrano, senza mai scadere nella banalizzazione dell’“esotico”: si presenta così la mostra “Ousmane Ndiaye Dago.Donna Terra” che espone il ciclo più rappresentativo del lavoro del fotografo senegalese, fra i principali interpreti dell’avanguardia africana contemporanea.
Esposto, dal 16 aprile al 31 maggio alla Other Size Gallery by Worknessdi Milano, un corpus di quindici fotografie di medio e grande formatodella collezione di Giampaolo Prearo, che reinterpreta con continue variazionisul temail corpo femminile, travestendolo di gesso, fango, argilla e pennellate di colore.
Nel ciclo “Femme Terre”, iniziato nella seconda metà degli anni Novanta, il corpo viene nascosto e, contemporaneamente, svelato da materiali vari e tessuti. L’impasto materico si secca sulla pelle fino a trasformare le modelle africane scelte dall’artista in simulacri geologici e quasi marmorei, fatti di terra e immortalati in immagini bidimensionali dal medium fotografico. La pelle si trasforma in superficie su cui il fotografo performer imprime volumi plastici mentre le donne diventano terra perché ne assumono i colori, le forme e le scabrosità. Nascono fotografie dal colore vivido, smaltato, traslucido che rappresentano corpi sensuali e misteriosi.
Dago costruisce i set fotograficicon grande cura: i suoi allestimenti conservano il mistero e le suggestioni della foresta dove, tra le profondità delle ombre, penetra la luce artificiale degli spot che riproduce l’atmosfera del sole equatoriale. L’artista allestisce la scena con metodo quasi teatrale, l’azione è circoscritta entro i limiti dell’inquadratura del gesto fotografico come un fermo immagine.
La ricerca di Dago s’inserisce in una temperie culturale, quella a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila, che ragiona con fare espressivo sul corpo come strumento di rivendicazione politica, sociale ed estetica. “Femme Terre” è un progetto che, ispirandosi a pratiche rituali e magiche della cultura africana, nasce dall’idea di identificare la donna con la Madre Terra; il corpo delle modelle, attraverso l’argilla, viene riplasmato e ascritto a una sorta di tempo originario del mondo. Il fotografo contrappone il linguaggio della tecnica al fenomeno della natura, quello dell’artificio al sentimento primordiale della vita.
Le donne di Dago non mostrano mai il volto, sfuggendo a un’identità definita e si configurano come pure forme, potenti ed erotiche. La cancellazione assurge a metodo di sacralizzazione della donnae fa sì che le giovani modelle possano incarnare tutte e nessuna in particolare.
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