Mariano Filippetta Cavaliere di Sutri
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Mariano Filippetta Cavaliere di Sutri
Comunicato
Mariano Filippetta, classe 1964, scoperto nel 1993 da Achille Bonito Oliva, rilanciato da Vittorio Sgarbi venti anni dopo, ha collaborato ed esposto con la galleria l'Attico di Sargentini a Roma, partecipato a collettive di rilievo allo Stadtmuseum di Berlino, alla Biblioteca di Pleguien in Francia, presso il Van Abbemuseum di Eindhoven e The Museum of Istant Images di Beckershagen, quindi al Centro di Arte Contemporanea di Maastricht, a seguire esposizioni presso il Centro Calego di Arte Contemporanea in Spagna, lo Zentrum Art Center di Wraclov, l’ Arsenale di Bertonico, la Fondazione delle Arti di Omegna, in ultimo presso il Museo Macro e il Museo Maam di Roma. Fa parte degli artisti che espongono alla 54 edizione della Biennale di Venezia.
Artista che predilige l'acrilico, a volte miscelato coi colori ad olio, blu di Persia, indaco e cobalto, verde di Schweinfurth, rosso carminio, oppure nero petrolio su fondo bianco gesso. La figurazione è sempre una sagoma (uomo, cane, toro) posto in controluce o in penombra, il volto non è mai visibile ed il movimento viene come fissato in un'articolazione corporea disagiata la cui resa rilascia come in Matisse tutta la sensualità e sinuosa dinamicità del corpo in azione, proteso verso uno scopo.
La gravità ne plasma il moto in un fotogramma che è l'istantanea di uno squilibrio, il quale ingenera un nuovo equilibrio in embrione, in cui l'azione deve ancora superare le proprie barriere. Il moto qui costituisce l'essenza dell'Essere e la sua estensibilità ricalca lo spazio come farebbe la massa in orbita sulle dimensioni spazio-temporali. Un’ emancipazione per noi che è anche patema come si fosse impreparati alla rilevazione.
Il tutto rende l'emergere irrevocabile e perentorio della Volontà sopra la materia, che è perseveranza nel vivere, nel mantenere questo anelito, questa rincorsa verso la Vita, questa ibris, questo lasciarsi alle spalle ogni indugio, afferrare l'ontologia del bisogno della propria dislocazione esistenziale e produttiva, se dietro, attorno o remoti grondano interi universi che non ci chiedono spiegazioni.
La folgorazione simbolica di questa tensione tutta umana (ma anche animale) che Mariano rileva sulla tela deve molto alla riproposizione della figurazione nel senso espresso da Sandro Chia, Enzo Cucchi e dell'intera Transavanguardia, solo qui la figurazione si propone dentro il contesto cromatico complessivo, la figura non spicca fuori dal suo dispositivo, al contrario ne è parte integrante, perciò il lavoro di Mariano deve molto ad un certo Espressionismo che va da Edvard Munch sino alle Die Neuen Wilden.
Ciò non solo per il cromatismo violento e la figurazione elementare che li accomuna ma per lo stesso spettro visore con cui il tragico della Storia, dopo l'implosione sovietica nel 1991, viene assimilato dentro una visione onirica ed al contempo ontologica dell'essenza umana, in cui funzione dell'arte nella Polis è sempre centrata nei termini sociali della sua istanza primaria di pace tra i popoli ed uguaglianza tra tutti i cittadini. Istanza che avrebbe rivendicato agli inizi del '900 l'intero movimento della Der blue Reiter e del Bahaus. In Mariano questa suggestione della resa cromatica, questa stessa centralità politica del corpo, riescono ad emergere dalla tela anche con un uso di due tre cromie. È il suo stile, la sagoma è come compressa tra la sua evanescenza nello spazio storico in piena crisi capitalista la degenerazione climatica e il suo affrancarsi indomito fuori dal tumulo di questo disastro eco-sociale.
Alcune opere ricordano Fautrier in cui la figura disciolta quasi si mescola nella ragnatela della campitura. Essenziale allora diventa per chi guarda ricomporre la figura nella sua refutazione in controluce, distinguerla nel suo contorno effimero, carpirne l’intenzionalità comunque espressa, il suo segnale di allarme o la sua rassegnata resilienza allo stato delle cose.
Marcello Chinca Hosch
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