LOBODILATTICE

Francesco Bruno C./ NO FLY ZONE

Inaugura

Giovedì, 12 Maggio, 2022 - 18:00

Presso

Studio Ferrari
Via Rosales 3

A cura di

Gino D'Ugo

Partecipa

Francesco Bruno C.

Fino a

Giovedì, 12 Maggio, 2022 - 21:00

Francesco Bruno C./ NO FLY ZONE

Comunicato

 

“Il tempo è la sostanza di cui sono fatto; il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco”.
                                                                                                                                Jorge Luis Borges

Francesco Bruno C., conosco la persona  e il suo lavoro da venti anni, abbiamo scambiato pensieri in parole e ho seguito con interesse le variazioni del suo lavoro artistico.
F.B.C., con qualche anno più di me, ha vissuto al pieno gli anni settanta, le irrequietudini, gli slanci, il pensiero politico di una generazione del cambiamento, sempre con  partecipazione ma anche con la coscienza di chi non si allinea facilmente alle mode del momento né si fa inglobare dall’onda dominante delle ideologie.
Una caratteristica che lo contraddistingue è l’attitudine a guardare gli uomini e la società cercando tra le trame e le stratificazioni le loro inclinazioni, senza alcun timore reverenziale ma col rispetto che si addice alla storia degli individui…  con il giusto senso di pietà.

Nel lavoro che viene presentato, attraverso la modalità della pittura, in cui la tela emula il fermo immagine di uno schermo, si concretizzano immagini incorporee, soggetti che oltre il peso fisico subiscono la perdita di una definizione, come un segnale distorto di frequenza, un fuori sintonia, uno sfocamento, l’immagine si estingue, nessun segnale.
Nel tempo del consumo abituale e bulimico delle immagini, sostanzialmente indifferenziato nella loro percezione, come anestetico, come ipnosi virtuale collettiva, ciò che si muove biologicamente in noi attraverso il ricordo tattile sembra sostituirsi nella memoria di un file con la difficoltà di esserci appartenuto realmente.
Immagine, immagine, e ancora, ancora, ancora… come una perdita, come una sconfitta, elementi raffigurati della storia, della natura, del nostro essere fisico e del nostro immaginario perdono consistenza rimandandoci al prossimo, ossessione del futuro che annulla il presente e dilegua la memoria.
 
Il troppo delle immagini privo di significato quasi tranquillizza nel suo passatempo, nella detrazione di una memoria personale svilisce l’identità per renderci somiglianti alla massa, privandoci addirittura dell’angoscia del tempo sospeso, dello straniamento, di una pausa per un tempo di riflessione.
Come la neolingua nel romanzo di Orwell 1984 viene costantemente aggiornata con lo scopo di impedire ogni forma di pensiero che possa mettere in discussione il potere assoluto del partito, che riscrive gli eventi storici vietando ai cittadini di conservare tracce del loro passato, così la miriade di immagini della contemporaneità costantemente diventa pericolo per  la mente.

Ma la memoria e il tempo della sedimentazione, quello del senso determinano la percezione della nostra identità, spazio sacro. 

Cercare disperatamente l’interstizio tra le sequenze veloci dei fotogrammi, nelle sfocature un fermo immagine, richiedere alla nostra mente un’interazione, un pensiero attivo, un collegamento diventa un atto di libertà, anche quella di sentirsi fragili. 

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