Disegni a memoria e altre cose
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Disegni a memoria e altre cose
Comunicato
“Gli effimeri…fragili…fuggevoli ricordi di Marina Buratti”
…effimeri…fragili…frammentari…fuggevoli…tramati della stessa sostanza dell’aria…affiorano frantumi…lacerti di ricordi evocati per maieutica facoltà del segno e del disegno…di dire al posto di …di stare al posto di…così da ricostituire un insieme unitario, o un possibile insieme unitario, della memoria, soggettiva, privata, intima, inaccessibile.
Così appaiono questi “Disegni a memoria e altre cose” di Marina Buratti - presentati da Giorgio Bonomi - che declinano un delicato e raffinato percorso nelle narrazioni di Storie Contemporanee, accompagnando il visitatore a immergersi nelle intermittenze, luminose o malinconiche, della memoria.
Anna Cochetti
Marina Buratti, richiama, opportunamente, nel preparare questi lavori, Gaston Bachelard (La poetica della rêverie) che afferma: “Una volta che un poeta ha scelto il suo oggetto, l’oggetto stesso cambia d’essere”. Rimanendo nella cultura francese, ci sovviene uno famoso scritto di Paul Valéry (Degas Danza Disegno) il quale, parlando del disegno dell’artista, dice che “egli opponeva quel che chiamava ‘collocazione’, ossia la raffigurazione conforme degli oggetti, a quel che chiamava ‘disegno’, ossia la particolare alterazione che la maniera di vedere e d’operare d’un artista fa subire alla raffigurazione esatta”.
Con i concetti sopra riportati comprendiamo meglio questi “disegni” e perché la nostra artista, già nel titolo, li colloca accanto alla “memoria”. Attenzione: non si tratta di semplice, o banale, reminiscenza, bensì del “ricordare”, termine, questo, che etimologicamente significa “rimettere nel cuore, nella memoria”(“ricordare” infatti deriva dal latino “cor-cordis”, cioè “cuore”).
Così l’artista ritrova immagini, sensazioni, oggetti della sua infanzia e li trasferisce sulla carta.
Il disegno acquista tutta la sua sostanza, il suo valore, nello scorrere della mano sul foglio bianco, dove si realizza con una pratica veloce, non imitativa, memore dell’informale e, forse, dell’Oracolo di Delfi che “non dice e non nasconde ma accenna”, infatti Buratti non vuole rappresentare cose, oggetti: questi sono solo un pretesto per fissare idee, sentimenti, scovati nel profondo della memoria.
Come spesso accade, il ricordo, anche quello più bello, è velato dalla malinconia, forse per il tempo passato, quindi perduto, che, come tutte le cose umane, non tornerà più.
Allora il disegno, realizzato con il pennello e l’acrilico, non presenta immagini definite, anzi queste appaiono con i contorni sfumati, in fondo come i ricordi che non sono mai netti, e nel colore abbiano il nero, quel colore che ci riporta alla connotazione “malinconica” delle sue immagini, infatti “malinconia” deriva da mélas (nero) e kholḗ (bile).
Marina Buratti, oltre che con il disegno, opera sia con il collage che, come sappiamo, si ottiene incollando pezzi di immagini allo stesso modo della memoria che unisce spezzoni di ricordi, siaconla fotografia, spesso con l’autoscatto, ed anche in questa modalitàil suo sentire è raffigurato poeticamente in atmosfere nostalgiche, forse indicanti rimpianto ma mai rimorso; si può scorgere un senso di tenerezza, un velo di dolce tristezza, ma sempre senza dramma.
C’è nelle opere della nostra artista quella consapevolezza di cui parla George Gordon Byron (Marin Faliero doge di Venezia) secondo il quale “il ricordo della felicità non è più felicità”, tuttavia, ci consola Jean Paul (Impromptus) dicendoci che “il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati”.
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