Quest’anno si celebra il centenario per la nascita dello scultore Giancarlo Sangregorio (1925-2013). Esteticamente, a lui interesserebbe un ritorno dal cubismo al realismo, se l’eternità ha una vertigine per l’apparizione. La figura che s’immortala non è investita da uno scavo concettualistico. Possiamo anche “giocare” ad incastrare la dimensione (orizzontale, verticale o profonda) sulla temporalità (dal passato al futuro, passando per il presente). Ma Giancarlo Sangregorio preferisce la vertigine del < così… com’è >. Lo esemplifica meglio il masso, la cui naturalezza cercherebbe l’eternizzazione tramite la circolarità. Giancarlo Sangregorio dice che gli interessa l’incognita (pure inattesa) dell’emersione, riconoscendovi la sorpresa dell’esistenza: il < così… com’è > accade vertiginosamente.
Dialetticamente, l’evoluzione del totem dal masso non dovrebbe rivelare, bensì appartarsi. Quello che Giancarlo Sangregorio respinge di più è la serialità, dove un incasellamento frena ogni vertigine. Quando s’accetta l’automatismo, nemmeno si bada all’apparizione! Piuttosto, la situazionalità d’una casualità ci allena ad un riequilibrio: con una previsione dell’inaspettatezza. Al realismo, quando noi passiamo dall’immaginazione alla percezione, vale un incipit di “sbandamento”. Quindi il cubismo, che astrae concettualmente, in Giancarlo Sangregorio rimarrà ammassato poiché la sospensione è “franosa”. La spiritualizzazione della Natura si dà comunque in un suolo per l’orizzonte. Nelle sculture di Giancarlo Sangregorio manca pure l’impressionismo emozionabile da una consunzione, mediante l’esistenzialismo. Magari a lui non interesseranno i mobiles di Alexander Calder, dove il prisma rischia di rendersi pilotato per optical art. Con Giancarlo Sangregorio, il continente fra gli oceani costituisce l’ammasso d’un orizzonte (materializzando al meglio il < così… com’è >). L’esistenzialismo dell’uomo “in perenne cammino” concernerà la franosità, anziché il logoramento. Conta la capacità di trovarsi un riequilibrio. A curare le celebrazioni per il centenario, comprensive di varie mostre o conferenze, è la Fondazione Sangregorio Giancarlo di Sesto Calende (VA).
Nella scultura in pietra ollare dal titolo Cosmologia uomo (1966), noi immaginiamo che l’incudine tramite cui modellare conservi la vertigine d’un restringimento, ed alla cassa acustica. Bisogna che si passi dallo stridio brillante all’eco inebriante. Un organismo vivente si nutre. Almeno per l’uomo, la pentola rappresenta il masso che evolve in un corpo, virtualmente. Giancarlo Sangregorio edifica la casa-atelier in leggera altura, con vista sul Lago Maggiore. L’acqua lì sarà riposante da percepire. Il lago prealpino può avere dei rami, provando ad attutire lo scarico del pendio montano. Evolvendo verso il riequilibrio, le strette di mano “s’arrampicherebbero” sulle “chiome” degli abbracci, e dalla cordialità all’affetto. Modernamente il “faro” riposante dell’uomo è l’altoparlante. La tecnologia ci permette di comunicare all’istante dappertutto. Ma quanto si rischierà una “frana” per il silenzio? Il Big Bang rimane “ammantato” d’una vertigine per il mistero, scientificamente. Il passato è silente; occorre riequilibrarlo sui “pendii” delle reinterpretazioni attualizzanti.
Nella scultura in terra refrattaria e ghisa dal titolo Siccità (1991), si percepisce la franosità per le pale d’un mulino ad acqua, mentre la galletta addirittura s’arrenderebbe, perso il bellicismo dell’elmetto. Come si può forgiare, oggi, il paradosso per cui gli oceani s’alzano, sottraendo le coste? La miniatura per il nostro sfruttamento in passato si dava tramite l’oro (setacciato nell’Ossola, la quale affascinò Giancarlo Sangregorio). Gli sconvolgimenti climatici saranno a torto difficili da prevenire, laddove noi preferiamo rimandarli all’impellenza delle generazioni future, paradossalmente. Al conservatorismo sull’utilitarismo del potere, le guerre distraggono da una spontaneità dell’ascolto. Forse allo scultore libero rimarrà la denuncia, ergendo un monumento a lucchetto per una stele. Certo l’acqua del Lago Maggiore è pacifica per musicalità, fra le “nacchere” delle Isole Borromee. Si potrà esorcizzare pure la sismografia, nella scultura di Giancarlo Sangregorio? Ricordiamo che a Sesto Calende si costruì un ponte di ferro, esattamente all’uscita del Fiume Ticino dal Lago Maggiore. In caso di siccità, deve pur restare un ultimo serbatoio per l’acqua dolce…
Si consideri l’allestimento che s’intitola Kabale und liebe (1997). Il legno ed il marmo sono stati presi da Ornavasso, nell’Ossola. Vale una “porta d’ingresso” verso le regioni in cui storicamente abita la minoranza germanica dei Walser. Ci pare che l’allestimento sviluppi l’orientamento della meridiana sul sentiero d’una fonte flessibile. Qualcosa di simile accade fra il totem ed i segnali di fumo. Volendo spiritualizzare la caduta massi, realisticamente potrebbero bastarci le intemperie. In alta montagna il clima è variabile. Può intimorirci la perdita dell’orientamento tramite le pareti assolate, col banco di nebbia sopraggiunto perfino in estate. La sorgente d’acqua purissima è agognata, in caso di fatica per la sete. La sua erranza “c’ingelosisce”, rispetto a quella del nostro sentiero. Nell’installazione di Giancarlo Sangregorio, noi percepiamo la miniatura d’un acquedotto impugnato fra le mani, dove la staccionata di protezione manca. Il “rubinetto” d’una fonte rocciosa è sempre altissimo. Le forme più astrattamente geometriche (della sfera, del cilindro e del cono) avranno lo gnomone squarciante, anziché indicante. Il caratteristico luogo della Terra in cui le vertigini si fanno sentire a 360° è l’alta montagna, nonostante il magnetismo della “terrazza”. Il titolo dell’opera vale simbolicamente per gli intrighi d’amore. Per Giancarlo Sangregorio, uno spaccapietre di pianeti sarà necessariamente uno < spaccatemporalità >. Sesto Calende menziona una calendarizzazione storica.
Nell’opera d’arte a tecnica mista che s’intitola Tellurica (1985-1989), esteticamente conta la dialettica fra il carbone ed il vetro. Quella in via alchimistica si trasfigurerebbe in un meteorite di pillole. Forse la medicina è sempre “tellurica”, laicamente, rispetto alla provvidenza del miracolo. Dalla psicanalisi, l’etere della notte diventa l’epidermide del sogno. La pedemontana lombarda e piemontese ha certe torbiere. Se fortunatamente mancasse la trivella del petrolio, alle “vertigini” d’uno sfruttamento, le amministrazioni comunali educheranno alla sostenibilità, tramite la “flebo” del trekking (laddove un po’ di fatica per le articolazioni migliora la circolazione sanguigna). L’acqua del Lago Maggiore appare freddamente limpida. Durante un trekking, la pillola “carbonifera” è esemplificata dalla borraccia, e contro il “terriccio” < spaccasole > della sudorazione.
Per l’allestimento dal titolo Genesi di una stirpe (1959), Giancarlo Sangregorio ha lavorato col bronzo. L’accoppiamento dei “carapaci” rimane salmastro per ossidazione. Evolvendosi, le alghe dovrebbero verdeggiare nei polmoni. Sociologicamente, la stirpe ha lo stemma. La spada che si brandisce, per il fragore dello scudo, si farebbe attutire dal bruco per la farfalla svolazzante. In questo caso le torbiere sono rimpiazzate, grazie ai boschi. In un bruco, il cubismo del cilindro ha le “vertigini” per realizzarsi. Se c’è qualcosa che in un uomo “svolazza” naturalmente, trattasi del suo respiro. Esiste la “rete” della comunicazione verbale, che però per Giancarlo Sangregorio manterrebbe un silenzio, se non segreto almeno privato. I “carapaci polmonari” avrebbero un “faretto”, sulla loro cima. All’artista serve una buona ispirazione, riequilibrando il “masso” della testa con una “carena” delle dita (che modellano). Giancarlo Sangregorio respinge un’ostentazione della stirpe. I laghi prealpini celano ordigni bellici o carrozzerie delle automobili: rottami, in entrambi i casi.
La scultura dal titolo Itinerario nel vuoto (1983) ha le lastre di cristallo fra i marmi. La mitologia si dà per archetipi, i quali resuscitano dai “sepolcri” del razionalismo. L’allestimento gioca sulla resistenza al bilico. Ciò avverrebbe quasi in preghiera: da un masso centrale, che “si prostra”. Si percepisce che l’artista abbia protetto con un dolmen il gioiello della geometria non euclidea. Brilla soltanto il mondo che paradossalmente abbaglia, invitandoci a penetrarlo almeno dall’estasi. Accordando l’archeologia alla psicanalisi, per Giancarlo Sangregorio lo scavo diventa ipnotizzante. Tuttavia egli accresce in via esistenzialistica ogni “matrioska” della composizione: dalla sua coralità. Il sepolcro va adorato. Se da una parte c’è la resurrezione, allora dall’altra parte c’è la processione. Anche così si spiega la virtualità percettiva del pentagono o dell’esagono (dalle lastre di cristallo): ai bordi d’una perfezione. La nostra memoria dal passato ricompone “matrioske” di sfumature, fatalmente confuse. Se messe in fila, loro potranno cadere all’improvviso. Si dà più inermità con l’incasellamento del razionalismo, dove vale la soluzione per cui < è tutto a posto >.
In una scultura dal titolo Bisanzio (1992), le pietre si differenziano anche dalla colorazione. Tutti gli incastri orientaleggianti ma piatti per apparizione teorica, dal tangram e dal tao, si sarebbero ormai occidentalizzati alla prassi d’una rimodularità. Ce lo esemplificherà lo stivale col tacco, o la coppa del torneo calcistico… Il loro peso non è mai ingombrante, giacché affascina assai il progetto di portarlo. Ma, quando il pendio scende dolcemente verso il lago, forse coerentemente si preferirà un recupero della “vanga”? Il suggerimento di curare un giardino, senza per questo rifiutare a priori un disordine del bosco, rimane orientale. La casa-atelier di Giancarlo Sangregorio fu costruita sotto l’ispirazione di Alvar Aalto, integrando il razionalismo sul naturalismo. Bisanzio aveva rappresentato per secoli un passaggio obbligato, fra l’Est (“caldo”) e l’Ovest (“freddo”). Questo era protetto da mura veramente potenti. Lungo i castelli si camminava lavorando, per la guardiania. Tutti noi preferiremmo sublimare artisticamente i crolli degli imperi grazie ai massi erratici, per l’innocenza della loro inorganicità. Ma purtroppo le cannonate ci rendono spettatori passivi. Lo sport moderno rende la competitività più spensierata, mentre noi immaginiamo che una parte della pietra scolpita appartenga al calciatore. Giancarlo Sangregorio andò a studiare l’arte delle culture esotiche, od animistiche (in Africa ed in Oceania).
Ada Negri descrive liricamente l’ultima pagina d’un album fotografico, per la coppia d’innamorati, i quali s’appoggiano alla balaustra d’una terrazza sul mare. Contro il celeste dell’ambiente (dall’acqua al cielo), le loro teste spiccano oscure, perso il “radicamento” nella vitalità. La stessa balaustra si limita a proteggere perché non assorbe. L’acqua, indispensabile alla vita, fenomenologicamente è fluida. O magari l’ultima pagina dell’album fotografico dovrà riassumere un’intera storia, per la sua trascendentalizzazione?
La scultura di Giancarlo Sangregorio che s’intitola Teste nel tempo 1 (2012-2013) consta di materiali diversi. Vi si percepisce una sorta di portantina per l’aureola. Il bronzo avrebbe l’oro appena legnoso. C’è un simulacro per la vitalità (materialmente), quando la rammemorazione prova ad immortalarsi (astrattamente). Ma quanto il volto innocente “si scuserà” per la propria malinconia? Non c’è solo la maschera funeraria della mummificazione, tramite cui < la morte copre tutto: pregi e difetti >. Chi ha la malinconia, rimugina sugli eventi. A noi rimane una domanda: quali sono i valori (dall’oro) che contano davvero, vivendo? Parecchie religioni canonizzano un itinerario di redenzione, opposta alla dannazione. Naturalmente, il Fiume Ticino è sia immissario sia emissario del Lago Maggiore. La casa-atelier di Giancarlo Sangregorio ingrandirà la “balaustra” panoramica, tramite le sue finestre.




