LOBODILATTICE

UN'ACQUASANTIERA "CANTIERISTICA" FUNGE DA ZATTERA PER IL SEPOLCRO

A Venezia, dal 15 Maggio al 26 Novembre era stata allestita la mostra Belonging, avente le installazioni dell’artista Helga Vockenhuber, accompagnate dalle fotografie del figlio Agidius Vockenhuber, e presso la Basilica di San Giorgio Maggiore (sotto la curatela di Don Umberto Bordoni). Esteticamente, ci pare che le sculture di bronzo si contorcano alla “calcolosi” d’una coclea, cercando una trasfigurazione per l’acqua battesimale. Sarà il contraltare corporale per l’astrattezza fra l’aria e la mente, da una corona di spine in testa. Simbolicamente, la “calcolosi” del peccato originale si percepirebbe purificata facendo il segno della croce. Il singolo uomo al 60% consta d’acqua; ma è il darsi una mano a fondare la società eticamente giusta. Cristo portò il fardello della croce per consentire un progresso: dalla semplice appartenenza (traducendo il titolo della mostra) alla salvezza in eterno (sconfiggendo addirittura la morte). Entrando in una chiesa, il fedele troverà l’acquasantiera. Apparentemente, la sua mano non riuscirà a travasare. Possiamo immaginare le falangi a “paratie”, sui “canali” delle dita. Però lo sforzo dell’intreccio avvia al raccoglimento della preghiera. L’acqua santa purifica svelando il volto mediante il palmo (per un ˂ Che cosa ho fatto! ˃). Alla fine le dita si dovranno cercare quantomeno un ancoraggio. Magari il palmo “si specchierà” in una carezza.

Bill Viola ricorre alla metafora della “calcolosi” acquatica (in uno scroscio), per trasfigurare la vita dalla fisica alla metafisica. Dialetticamente si percepirebbe una coclea, potendo risalire dal “peso” della morte che ha l’orizzonte immanente. S’aggiungerà un Cielo al laicismo d’un nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Al fine d’una prassi materialistica, la fede religiosa inviterebbe al darsi una mano, socialmente. Nella passione di Cristo, tramite la croce di legno virtualmente un “fusto” avrà rimodellato la corona di spina. Né occorrerà “decorare” con foglie, fiori o frutti… Semplicemente il legno della croce si sarebbe rimodellato in una “zattera”, contro la dura e pesante pietra del sepolcro. Le sculture di Helga Vockenhuber si percepiscono anche “sbrogliando la matassa” per la corona di spine. Queste si farebbero ascensionali, ai “tiranti”. In una trasfigurazione, la polarità degli aghi sarebbe stata smussata dall’inerzia.

Per il filosofo Avicebron, la mano divina avrà creato sia il serpente che avviluppa frustando (da un unico tiro), sia la volta del cielo che ammanta (oltre l’ipnotizzante concentricità). Ma è lo stesso paradosso che noi possiamo percepire sulla linea dell’orizzonte. Il poeta Gialal Al-Din Rumi scrive che l’uomo lascerebbe uno stadio minerale: prima per quello vegetale ed animale, infine per quello intellettuale e religioso. Si potrà ricorrere al simbolismo d’una scalinata: dalla semplicissima goccia d’una caducità in terra ad un immenso oceano per la vita spiritualmente eterna.

A Venezia, Helga Vockenhuber ci esibisce una sorta di “corona-piattismo”. Il disco d’acqua si percepisce accogliente, laddove abbracci con le sue rive. Paradossalmente l’abisso riguarda le spine galleggianti, in quanto appigli sul mero dolore. La fede religiosa evita la solitudine umana, quando ci si abbandona al “miraggio” del destino, in specie se avverso. L’artista inserisce sette frammenti di “calcolosi” esistenzialistica. Così si simboleggia una completezza: fra la quaterna dei punti cardinali ed il terno delle sezioni cosmiche (il cielo, la terra, gli inferi). Sembra che il modellino d’una barca ormeggi direttamente dai ponti, al groviglio del fasciame. Bisogna evitare la falsa passività d’una contemplazione rilassante, come rimpiazzo alla contrattura muscolare. Si preferisce l’esistenzialismo per cui simbolicamente noi siamo sulla stessa barca. I frammenti per la corona di spine mantengono comunque una disposizione circolare. Alla fine aumenta il bisogno di darsi una stretta di mano. Sarà questa esteticamente la “cantieristica” interpretativa, dai “tiranti” degli aghi.

Le fotografie analogiche in bianconero di Agidius Vockenhuber ci mostrano dei boschi. Pare che a lui interessi esteticamente la “corona di tronchi”. Anche se abbattuti od al contrario “alati” (da un’esagerazione grandangolare), quelli si percepiranno all’appiglio sull’orizzonte. Per l’artista si tratta d’inoltrarsi nei boschi dell’infanzia. Si avrà tutta la vita davanti, quantunque partendo da un laccio con la figura genitoriale. Il tronco abbattuto favorevolmente proverebbe a trasferire un po’ di luce, dal cielo al sottosuolo in ombra. Più naturalmente, gli arbusti hanno dimensioni ridotte, e tuttavia pungono spesso, con la loro impenetrabilità. Il tronco abbattuto cingerebbe il nostro corpo alla “resurrezione” dell’altalena. Almeno nell’infanzia si è spensierati, lontani dalle “ombre” della vecchiaia. La canopia può proteggere dalla pioggia, ma nel contempo ristagnerà di luce.

Nella Sacrestia monumentale, c’è un’installazione molto evocativa, all’interazione col visitatore (invitato a bagnarsi con l’acqua battesimale). La fonte riguarda una stele, marmorea e bianca. Questa è collocata al centro della sala, ma intercettando virtualmente una “processione” di ceppi più bassi, in legno (con le fessurazioni a causa della stagionatura). Qualche visitatore avrà pure la tentazione di sedersi. Più genericamente, possiamo immaginare una gestualità conviviale. La base superiore del ceppo avrà perduto il proprio “cappello”, dalla “tesa” della fessurazione, ma per un saluto. Dunque tornerà la dialettica tra la corona di spine e lo “scroscio” purificante. La stele al centro intercetterebbe i ceppi come in una galleria di scolo. L’acqua sa uscire dal sepolcro delle pesantissime montagne. Magari i visitatori vorranno spostare i ceppi, ma avranno rispetto per la stele centrale. Allo “scroscio” delle mani, sull’acqua santa, seguirà infine la canalizzazione delle dita in preghiera, simbolicamente in aiuto al comunitarismo.