LOBODILATTICE

UNA SOTTOCULTURA CHE PROVA AD EMANCIPARSI DA UNA SUBALTERNITA'

A Milano, dal 4 Aprile al 12 Aprile, presso la Galleria “East Contemporary” era visitabile la mostra collettiva d’arte contemporanea dal titolo Poor but sexy, con le opere di Nikita Kadan, Dominika Olszowy, Mila Panic, Ala Savashevich, Anastasia Sosunova e Miroslav Tichy. Esteticamente conta una sottocultura che prova ad emanciparsi da una subalternità. In Germania, Klaus Wowereit annunciò da sindaco di Berlino che, dopo l’abbattimento del Muro, l’Ovest “vincitore” sarebbe stato attratto dall’Est, avendo quest’ultimo le vaste infrastrutture per una manodopera a basso costo. In Polonia, per la saggista Agata Pyzik bisogna rifiutare sia la nostalgia “arcaista” verso la povertà del comunismo, sia la “brama” d’una mercificazione pragmatica grazie al capitalismo. Anche nel secondo caso persiste l’omologazione, quantunque dalle mode. Alla fine lo slogan perderà lo charme. Simbolicamente, la sottocultura delle infrastrutture pragmatiche (mentre il turismo sorge dai palazzi storici) rischierebbe d’emanciparsi appena per subalternità, confermando l’alienazione della manodopera a basso costo. Se un archivio è sfogliato con le mani, allora lo sguardo del ricercatore dovrà “incapsularsi”. Il “muro” del tempo cronometrico (dal passato al futuro, tramite il presente) cade, e sgancia i frammenti per una storicità dei diversi eventi. La mente umana ha le pre-comprensioni, le quali contestualizzano un’archiviazione. In questo c’è una sottocultura, valorizzata da una “capsula” protettiva della tradizione: in una famiglia, in un’associazione, in una nazione ecc… Di contro l’artista diventa “libertario”, sganciando le proprie provocazioni nella “culla” d’una frammentarietà (se non al surrealismo figurativo, quantomeno all’ironia concettuale). L’auto-compiacimento rimarrà de-territorializzato. L’artista sa trasformare la sua “contestazione” dalla gratuità alla sincerità. L’omologazione dei gusti avviene meccanicamente; essa è subalterna ai desideri il cui vitalismo si spiritualizzerebbe tramite la ritualità. Ad esempio l’artista riceve l’ispirazione per una missione. Oppure, qualora egli ricorresse ai materiali poveri (la carta, la terra, il legno, lo straccio ecc…), rimarrebbe una preziosità seduttiva dal processo di lavorazione, e per originalità. A Milano, la mostra era stata curata da Sergey Kantsedal, collaborando con alcuni enti della Polonia.

L’installazione portata dall’artista Nikita Kadan si chiama Dream flags. Esteticamente, ci si emanciperebbe da una chiusura nella fissità del proprio nazionalismo: mediante la subalternità per cui la comparsa ed il consolidamento dell’uomo rimangono una “briciola”, rispetto all’adattamento imprevedibile per un’intera cosmogonia. Precisamente, Nikita Kadan ha installato delle lastre metalliche, che erano state distrutte dai missili per l’odierna guerra in Ucraina. Quelle tramutano in bandiere, così da resistere all’aria soltanto in modo blando, spiritualizzando la territorialità, fatalmente “indurita” dai confini. Nikita Kadan allega pure un foglio, dove si racconta un sogno. La bandiera malata, che subisce il “cancro” del nazionalismo bellico (avendo gli strappi per le schegge), dovrà farsi radiografare? Dal documento, noi leggiamo che il vento forte s’attenua, quantunque non impedisca al sognatore di precipitare. Sarà preferibile scappare disordinatamente senza una meta, oppure rimanere senza una terra tradizionalmente perenne? Purtroppo subentra una dialettica fra gli esuli e gli sconfitti. Forse il sogno dovrà radiografare la preistoria? I dinosauri furono virtualmente “i primi sbandieratori”, grazie alla potenza della loro coda. Forse “disturba” che i film sceneggino sempre il giurassico in modo violento. Ma, nonostante l’adattamento dei dinosauri all’atmosfera col riscaldamento globale, il cratere d’un meteorite (oggi in Messico) li costrinse all’improvvisa scomparsa. Questo dovrebbe contribuire all’insegnamento etico d’una rinuncia a costruire le bombe.

Dominika Olszowy ha portato a Milano l’installazione ad arte povera dal titolo Final push. L’antico ominide ormai è stato stilizzato al vitalismo mercificabile d’un teschio per l’attaccapanni. Questo si percepisce in chiave palesemente inquietante, fra il surrealismo e l’esistenzialismo. A Dominika Olszowy interessa una corporeità transgender, dove le scarpe, riempiendosi di caffè, ci ricordano che modernamente il capitalismo accelera al massimo le pause per i riti quotidiani. I collant spettrali “impoveriscono” il sex-appeal d’un tunnel ad autostrada interstellare. C’è la critica femminista, laddove si pugnali col calcestruzzo ogni bacio del principe azzurro che risolva l’enigma della scarpetta, dalla fiaba di Cenerentola.

Tramite la serie d’installazioni dal titolo Sudost paket, Mila Panic ricorda che il ready-made sociologicamente può appartenere al folklore. Si tratta di scombinare la memoria fidandosi dell’immaginario. Uno pneumatico tanto sgomma quanto culla. Quello di Mila Panic è depositario di tortuosità, prendendo l’autobus dalla natia ma povera Bosnia-Erzegovina alla lontana Germania, se s’emigra per forza. Come si può conferire un pragmatismo alla mitologia? Ironicamente lo pneumatico di Mila Panic tiene le monete fra i denti, per una miniatura più dei capezzoli al reggiseno push-up che dei soli per segnali stradali. Dato l’Occidente, al migrante non serve recarsi negli Stati Uniti, se pure la Germania gli appare come < l’America >! Più genericamente, esiste la dialettica fra la sottocultura e l’esotismo. Quella per l’artista rimane improntata, nel bene o nel male, sul capitalismo: dal simbolismo della moneta. Un migrante dal canto suo percepisce sia l’entusiasmo per la salvezza sia la paura dell’emarginazione, entrando in un nuovo Paese. Nei due casi si frappongono i “paletti” dell’etica. Invece il capitalismo approfitta degli escamotage, “svicolando” illegalmente: col contrabbando delle merci, col prestanome dei contratti, col riciclaggio del “denaro sporco” ecc…

Ala Savashevich esteticamente propone una dialettica fra la ritualità ed il mascheramento. La videoinstallazione dal titolo Pose Position Way ironizzerebbe su una tap dance per il progresso della storia. Il rischio è quello tipico della biopolitica (da Michel Foucault): il potere mistifica il controllo, mentre i cittadini ne subiscono il fascino. Sulla scarpa, il tacco ha lo spillo fra le punte della stella rossa, dal comunismo sovietico. Trattasi d’una simbologia il cui abbattimento improvviso potrebbe percepirsi traumatico. Qualche “nostalgico” dovrà letteralmente impuntarsi. Paradossalmente la democratizzazione e la liberalizzazione non aiutano. La musealizzazione in funzione del turismo rischia di cedere alla biopolitica dal capitalismo. Dunque l’hostess dell’Aeroflot in Russia diventa sexy, per l’uomo occidentale, anche perché lei ancora porta una divisa col logo comunista! Nelle videoinstallazioni di Ala Savashevich, si critica il patriarcato che è praticato in tutto il mondo. Questo vale a prescindere dal sovranismo, o dal liberalismo. Più genericamente, un artista svelerà la “maschera” che ciascuno di noi spesso deve indossare, controvoglia, in accordo ad un ruolo sociale.

Il quadro di Anastasia Sosunova dal titolo Fiction si percepisce in chiave essenzialmente metallica. Occorre che si conferisca un’arena alla memoria. Quand’anche s’apra una radura, rimarrà il dubbio della finzione? Infatti Anastasia Sosunova nasce in Lituania, che da un alto subì la propaganda sovietica, e dall’altro lato parve radicalizzare il mito dell’Occidente sino all’innovazione precoce per la tecnologia digitale (contro le lande desolate del bassopiano sarmatico). L’arena richiede di partecipare attivamente. Il quadro dell’artista mostra uno sfondo da percepire fra la legnosità carnale e l’acqua metallica. Le Repubbliche Baltiche hanno i confini ad “anfiteatro” sul loro mare. Durante l’occupazione sovietica, si può immaginare la “stanchezza” d’agognare un grigiore della differenza, al radicalismo, con la “bandiera arcobaleno” oltre il clima continentale freddo (anziché la pesantezza delle industrie statali, per l’Unione Sovietica). I quadri di Anastasia Sosunova menzionano la vecchia segretezza delle tipografie “ribelli”, per indipendentismo, schivando la censura. Virtualmente, la resistenza politica sarebbe stata costretta a valorizzare l’arte del… rebus.

Guido Gozzano ci descrive un arredo con la pirografia sul divano in stile corinzio, e per un neoclassicismo caro ai “fasti” di Napoleone. Ma così aumenta la malinconia… Sarà per Gozzano la “cartolina” della Bella Otero, alla specchiera. Il disegno di Miroslav Tichy ci ricorda che lui aveva uno storico interesse verso la fotografia della donna, in Cecoslovacchia. Peraltro egli rimase un artista sconosciuto per molti decenni, coi regimi socialisti dell’Est-Europa che non valorizzavano mai l’impolitico. Per l’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, il potere dello sguardo “mette a nudo” (dialetticamente) la coscienza: è come se la percezione “si ribellasse” ad una “sudditanza” verso la riflessione concettuale. La donna disegnata da Miroslav Tichy avrebbe eseguito uno spogliarello. Non si capisce quanto dal naif si passa all’angelico, col frustino da dominatrice per una carnalità dell’ombrello, se al singing in the rain la fantasia sessuale manca, diversamente dal singing in the train tentando l’approccio con un partner sconosciuto, all’avventura. Lo sfondo del disegno è quasi da cartolina turistica. Nel voyeurismo si percepisce sempre la malinconia, senza nemmeno basarsi sul finto moralismo. L’Est-Europa viene vagheggiato in Occidente per la “proverbiale” bellezza delle donne slave. Ovviamente dal passato possiamo ricordare i manifesti di Toulouse-Lautrec, in Francia, all’estetica del bohemien.