LOBODILATTICE

IL SOGNO E' UN ESERCIZIO ORACOLARE PER L'ANTROPOLOGIA DEGLI ISTINTI

A Venezia, presso la Galleria d’Arte “Castello 925” è stata aperta una doppia mostra, dal titolo Onirica (Melinda Stickney-Gibson & Gary Gissler) + Yoga: interiore eterno (Kaethe Kauffman). Esteticamente, si percepisce la dialettica dell’ispezione medica verso una terapia oracolare. Se potessimo applicare un elettroencefalogramma alla terra, allora questa “sobbalzerebbe” all’orizzonte, “caricate” le sue ombre in una materia grigia dell’aria. Da un lato, il sogno ispeziona le “vertigini libidinose” della mente. Dall’altro lato, l’estasi diventa “terapeutica” per un “anestetico” della mente. Né la radiografia confermerebbe la scheletrizzazione del corpo. Piuttosto, si proverà a far “danzare” la facoltà della sensorialità. Oppure, risalendo all’origine misteriosa della vita, si rappresenterà una luce “embrionale” per la materia oscura dell’Universo. Qualcosa che funga da metafora per una pratica yoga con gli impulsi dei sogni. La muscolatura si reggerà sulla codificazione. Il “sale” della vita è la passione. Però fare una diagnosi all’anima, anestetizzata dai sentimenti inespressi, rimane più arduo. In aggiunta c’è “l’ingordigia” del metabolismo, che converrebbe “sdraiare” al fotogramma d’una sazietà. Forse il sogno difetta unicamente per il (sotto)sforzo d’una grazia scialba. I pensieri vi ballano; ma al risveglio ci lamentiamo della loro interpretazione (mentre il realismo letteralmente scoordina la vicenda virtuale). Allora tendiamo a tornare, “per ripicca”, ad una passionalità sui progetti esistenziali. Vogliamo realizzare (finalmente) il nostro sogno… Anche per questo la radiografia artistica si focalizzerebbe sul dettaglio delle giunture, che sono ravvivate da una “garza” o da una “mascherina” organicamente vegetale. Gli impulsi derivano dall’animalità, per la stessa psicanalisi. Ma a quelli servirà il sostrato vegetativo delle ossa, e come metafora per la “corazza” d’un < io voglio che >. Sia lo yoga sia la danza ci consentono di coordinare al meglio tutte le funzioni del corpo, anestetizzandone la libidine per un sogno concretamente (empiricamente) ad occhi aperti. Per il livello successivo, relativo all’estasi, bisognerà spiritualizzare il volontarismo. E’ facile far “svolazzare” il respiro. Ma quanto una mente “sana” tenterà d’accompagnarlo al pensiero leggiadro?

A Venezia, Kaethe Kauffman ha installato dei pannelli su seta, in cui è impressa un’immagine fotografica. Dapprima, al corpo danzante si lega un filamento, e per registrarne la sequenza di pose. Le stampe finali sono anche ricolorate. La corporeità assume un simbolismo sociale, nel suo “stendardo” d’emancipazione. Al muscolo immediatamente noi chiediamo la forza d’un sostegno. Aggiungendovi la percezione della danza, la rilassatezza s’originerebbe per bilanciamento, grazie alla “respirazione” dell’interiorità. Una vera emancipazione presuppone che ci si senta talmente liberi da rinunciare ad un ritorno d’utile. Simbolicamente, il respiro funziona un po’ come il supporto “muscolare” del pensiero. Però il loro compiacimento non imprime alcun orgoglio. La posizione yoga preferisce la spiritualizzazione del soggettivismo. Pare che Kaethe Kauffman usi il filamento come un hula hoop, per le articolazioni (del ginocchio, del gomito, della mano ecc…) al proprio periscopio. Sparirà completamente la banalità d’un controllo sociale. Nell’arte performativa, è dibattuto quanto il soggetto riesca ad indirizzare da solo i propri movimenti, anche in ambito psicanalitico. Di certo Kaethe Kauffman evita la risposta offerta da una cultura tradizionale. La post-produzione digitale contribuisce a distorcere per vitalismo ogni regola dal cubismo o dall’optical art, astrattamente. Più spontaneamente, in uno zootropio del corpo, avverrà che tutto ruoti intorno alla spiritualizzazione d’un godimento. E’ un’emancipazione oracolare, se la maturazione organica s’accompagna ad un ricerca sul senso profondo della vita. La danza garantisce un piacere. Ciò non vieta di chiedersi perché desideriamo di comporla. Forse la risposta si nasconde nei fondali neri, in accordo con la psicanalisi. Anche il periscopio abbisogna d’un bilanciamento, dialetticamente. Chi spia è “pressato” dal nascondimento. Dal negativo fotografico, si passerebbe alla “notte” della vita. Nessuno è abituato ad immaginare un al di là… delle ossa (senza “ingigantire” il problema tramite l’anima). Ma questo godimento cercato da Kaethe Kauffman permetterebbe in aggiunta di camminare al “buio”. E’ un’estetica più materialistica, in grado di coinvolgere addirittura lo stato vegetativo. L’eventuale citazione sul test di Rorschach avrebbe rivoltato il suo psicologismo nel “calzino” dell’edonismo. Ai muscoli ed alle articolazioni noi non associamo mai la dignità fenomenologica d’una luce vitale, come per gli organi interni. Anzi la neghiamo, se vi manca il concorso dell’emozione o del sentimento. Kaethe Kauffman cerca le “luci ossee” della ribalta. S’immagina che sia il palcoscenico in sé (senza l’attore) a godere della sua intelaiatura. Vi calerebbe il “sipario” d’una mascherina lussureggiante. Questa non servirà a nascondere l’interiorità sentimentale, bensì ad “agguantare” il godimento in una vita letteralmente… “da sogno”. A livello sociale, si valorizza soprattutto un io ballo da sola da parte della donna, senza il controllo del maschilismo.

Freud ha studiato il racconto fantastico del Mago Sabbiolino, scritto da Hoffmann. Questo ci introduce alla psicanalisi del perturbante. Il mago vagheggiato da Hoffmann butta la sabbia negli occhi dei bambini che, per i loro genitori, non vogliono dormire, e sino a farli insanguinare. Per Freud il perturbante esprime una situazione angosciosa, che di primo acchito ci sembra familiare, salvo poi mostrarsi soltanto sconosciuta. Qualcosa di simile accade se il bambino subisce la seduzione ingannevole del Mago Sabbiolino, che in realtà finisce per rubargli gli occhi.

A Venezia, Gary Gissler ha portato i suoi quadri d’arte concettuale. La superficie può percepirsi corticale, o comunque rugosa. Il segno ondeggiante delle parole “cifrate” in corsivo è sovraccaricato. Ci sembra che l’artista abbia usato la spillatrice, oppure un timbro… Qualcosa che virtualmente contraddirebbe la grigia fievolezza della grafite. Grazie al carattere del corsivo, l’impulso a cavalcare l’orizzonte “misterico” oltre il quadro preferisce defilarsi, ed all’interno del segno. Il parolibero “pompatissimo” del futurismo potrebbe frenare, da una “luce” trascendentale. Il tratto ondeggiante deriverebbe da un tropismo misterico. Immaginiamo un vento di sabbia, che sentimentalmente copra la “rumorosità” del cervello troppo pensante. I toni freddi del biancastro e del grigiastro avrebbero la “luminosità” contorta del respiro. Il vento di sabbia sarebbe indirizzato al “tratto meteorologico” d’una banderuola. In un quadro, sembra che le parole abbiano “parcheggiato”, e seguendo le apposite strisce sull’asfalto. Così, emergerà la percezione rallentata d’una “benda” oracolare. Col testo ermeticamente cingolato al tratto, sulla “rumorosità” della comprensione calerà la dissolvenza della memoria. E’ noto che le persone possono soffrire di calcolosi… Fortunatamente, nella salute del quadro, l’impulso elettrizzante della sinapsi cerebrale cederà alla “nebulosa” anestetizzata del sogno. I toni freddi del biancastro e del grigiastro impedirebbero una decomposizione del quadro. Essenzialmente a Gary Gissler interessa il perturbante della comunicabilità. C’è un quadro dallo sfondo rosso; ma la sua passionalità si concentra sui tratti che si fanno un’interferenza oracolare. Chi scrive si facilita il ricordo; a volte lo “romanzerà” mediante la fievolezza della grafite…

A Venezia, Melinda Stickney-Gibson cerca esteticamente un “aggancio” fra la figurazione e l’astrazione. Queste si percepiscono sognanti, rispettivamente in merito all’organo vitale ed alla notte poetica. Per l’artista, il loro connubio sarebbe garantito da un’inceratura. Predomina il giallo, tramite cui la “luce” della vita rientra nell’invisibilità del citoplasma. L’inserimento delle parole determina “un’impaginazione” per l’epidermide. Un libro sa ammantare, grazie alla narratività. A Melinda Stickney-Gibson preme raffigurare il tentativo d’una presa alla maniglia, mettendo “sottovuoto” il traboccamento della pittura. Lo scioglimento della cera quantomeno sarebbe rivalutabile, ove garantisse un rimodellamento. La pittura surrealistica percettivamente trabocca di simbologie. Più analiticamente, Melinda Stickney-Gibson ne verificherebbe la consistenza vitalistica. Fino a quanto un onirismo riesce ad ammantare il godimento? La mente si spoglia subito per via del desiderio. Questo però si traveste all’inappagamento continuo. Così, un’installazione dell’artista “ingigantisce” la porta e la pagina, al loro connubio mediante una sorta di camerino. Qualcosa dove il cambiamento “s’infarcisce”! In un altro quadro, la “maniglia” che ci fa reggere il dissolvimento della nostra “pelle” (desiderando di vivere, liricamente) aprirebbe ad una bocca della verità. L’opera d’arte esporrebbe una “sacca”, che “dreni” il lirismo dall’edonismo. La bocca della verità, nel quadro di Melinda Stickney-Gibson, ha un fondale totalmente nero. Fuori dall’onirismo, c’è la “cera” epidermica del “lume” al godimento. Si tratterà d’ammettere che cosa tendiamo a preferire, fra il sesso e l’arte. A materializzare l’onirismo è una “strana” forma, la quale confonde l’ominide col fungo. Esteticamente, vi “leggeremo” un’antropologia per la psichedelia, partendo dai nostri istinti.