LOBODILATTICE

ECOSISTEMI ED EGOSISTEMI D'UN MULTIVERSO PER LO ZOOM FOTOGRAFICO

A Padova, presso la Black Light Gallery, sono attualmente esposte le fotografie di Marcello Vigoni, e da un progetto che s’intitola Egosistemi. Esteticamente, a lui interessa un’arte tramite cui un multiverso consenta di salvare un inconscio della Natura, senza l’utilitarismo antropologico. Forse si percepirà una dialettica al realismo non ingenuo, bensì prospettico. Classicamente, l’antropocentrismo può giustificare in sociologia che il sapere è potere. La Natura avrebbe un inconscio atavico, mediante l’ecosistema, e da una fotosintesi clorofilliana con gli archetipi sugli organuli, per l’evoluzionismo. Rimane comunque una gravitazione, sul ciclo della vita. Dunque noi immagineremo che il bianconero dell’Universo stellato sia fotografabile con uno “split screen” sull’astrattezza delle quattro stagioni. Marcello Vigoni sicuramente contesta la dialettica che mistifica l’evoluzionismo, passando dalla gravitazione comunitaria all’appropriazione individuale, per l’egosistema. Il fotografo gode alla pienezza che ferma il tempo, grazie allo zoom. Più spiritualmente l’estasi, rispetto all’eternità, si percepirebbe in un riverbero per il possesso. Questo farà da attrito sull’egocentrismo. Però nelle fotografie di Marcello Vigoni c’è un multiverso che non s’apre agli orizzonti, in quanto sospeso per appigli. Nell’egosistema, l’appropriazione e la scomposizione paiono sintetizzate mediante l’etichetta. Il banale utilitarismo tradisce l’irripetibilità del naturalismo. Immaginiamo che l’uomo si senta “sballottato”: fra gli impulsi vitali che gli frantumano l’animo “nobile”. Sbaglierebbe per troppa comodità un uomo che confondesse l’Universo con… l’egocentrismo. Con l’esistenzialismo, noi ammettiamo la prospettiva d’un afferramento. C’è il desiderio di controllare la “stretta gabbia” dei nostri legami: affettivi, professionali, ricreativi ecc… Se invece questi si perdessero, allora noi immagineremmo un multiverso del rimuginio: con la nostalgia. Forse la linea di demarcazione fra l’innocenza dell’ecosistema e la pressione dell’egosistema si dà al paradosso d’una calma fluidità, per una teoria delle stringhe (dalla scienza) sullo zoom del realismo (da fotografare). Gli “appigli” d’una valigia sono cari a chi cerca di cambiare vita. Lo si preferisce comunque, rispetto ad un meccanicismo dell’etichetta dal realismo al positivismo, che “strozza” la gravitazione nella poesia (dove per il senso vige la “libertà”). Marcello Vigoni ha lavorato ai progetti dal titolo Multiverso, Paesaggi dell’inconscio e Please save Devero (con la sua alpe, in Piemonte). A Padova, la mostra gli è stata curata da Elisabetta Bacchin. Esteticamente, all’artista interessa la sospensione astratta del bianconero.

C’è una fotografia in cui il multiverso parte dall’apertura di molti cassetti. Da questi, noi respireremmo l’aria “sana” dei vecchi cataloghi, per una biblioteca? Infatti c’è un albero, ma quasi sradicato per via del tronco piegato con “sofferenza” a 45°. La chioma potrà tramutare in nuvola al ventaglio d’un profumo, e come per la saponetta slittante fra i capi d’abbigliamento, che noi riponiamo con cura in un cassetto? C’è anche una staccionata col filo spinato. Favorevolmente un archivio permette di preservare, contro l’oblio. Così noi alleneremo l’immaginazione a recuperare il tempo che inevitabilmente passa. Ma la burocrazia rischia di farci dipendere da una sorgente che è divenuta un atto. Noi non potremo saltarlo, oltre i suoi cavilli per paletti. In ufficio ci stressa la monotonia delle revisioni. Col paesaggio si gode per “l’altalena” delle montagne, o delle coste. Se il fotografo scatta per afferrare (immortalando), allora l’appiattimento al “conservatorismo” burocratico è simboleggiato da un’etichetta per il cassetto. Questo renderà l’albero non proprio sradicato (soffrendo), ma almeno malinconico (per sballottamento).

In un’altra fotografia, il multiverso si percepisce potendo sfogliare addirittura una parete montuosa, e con la lente d’ingrandimento per una casa. L’abitabilità privata dovrà allenare all’ecologismo comunitario. C’è un camino con la merlatura d’una scala. Quindi noi percepiremo paradossalmente un prisma nel fumo. Con la scala che trasfigura la gravità, spiritualmente, ogni trastullo sulla passionalità si nobiliterà, proteggendosi. Il fotografo “resuscita” l’immagine da una camera oscura. Negativamente il traliccio fulminante per la corrente elettrica non sa arieggiare come un albero, all’estasi per la corrente… clorofilliana! La cementificazione in montagna è spuria, a parità di pietre. Marcello Vigoni ha inquadrato il camino con la scala in qualità di dirimpettaio per un albero con chioma rada. Per il languore del traliccio sulla passionalità, concorrerà una zampogna, all’eco dalla parete montuosa. Se l’Universo infinito è bianconero, questo si tinteggia di grigio alla caducità della vita (fra la nascita e la morte). Per apprezzare l’ecologismo, bisogna avere uno sguardo “a 360°”. Ad esempio i combustibili fossili favoriscono lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento dei mari. Un murales comunque bloccherebbe un panorama? All’abitabilità della Terra nella sua interezza, dunque al confine con lo Spazio, servirà il “focolare domestico” del Sole. Questo ha un proprio “muro”, in quanto ci abbaglia: ma forse per abbandonare l’individualismo, sviluppando il comunitarismo. A Marcello Vigoni interessa il bianconero, col grigio a conferirgli una medietà lirica. In questa, i sensi non avrebbero l’etichetta del concettualismo.

In un’altra fotografia, un albero sarebbe quasi abbattuto. Tuttavia le “impronte” della corteccia avrebbero un sussulto, oltre le pietre d’un muro. Sarà la miniatura per uno “sventolio” del pendio montano. La scala a pioli che “volerebbe” in alto ha la distorsione “innaturale” dell’orizzontalità. Per l’uomo, non è semplice risalire ad un inquadramento razionale della divinità. Biblicamente, ricordiamo anche la caduta dall’Eden. La scala si percepirebbe donando un ritmo ipnotizzante alla morbidezza lentamente “legnosa” della nuvola. O forse il fotografo avrà sognato di diventare un regista, con la celluloide dell’arcobaleno. Così la scala permetterà un montaggio sul caleidoscopio del multiverso.

C’è una fotografia in cui il cielo appare suddiviso da una pavimentazione. Un grigiore fatalmente rimarrà pure ai “lavaggi temporaleschi” d’un… mocio! Le velleità razionalistiche dell’uomo, rispetto alla divinità, si dovranno confrontare col calcolo d’una forza pesantemente bruta, all’interno d’una scacchiera gigante (sulla quale il bianconero è caratteristico). All’orizzonte d’un campo brullo, coerentemente il “battiscopa” d’una casa si percepirebbe al rudere. Qui il multiverso avrà mantenuto un antagonismo terreno pure nell’ascensione con la scala, giacché la scacchiera chiede un vincitore ed uno sconfitto. Il cielo sarà neutralmente impalpabile rispetto agli errori commessi per “leggerezza”. Ad esempio, chi cementifica per disboscamento si tira la zappa sui piedi, in caso d’alluvione. Così nella fotografia sarà percepibile una “lama” del cielo: sulla prospettiva delle colonne, per la scacchiera. Tuttavia, dovrà rimanere quantomeno un rudere. A scacchi, il pezzo del Re è protetto dalla cattura. La scienza progredisce partendo dal “rudere” d’una teoria confutabile. Quella ha le sue mosse: dai “pioli” delle ipotesi agli “artigli” degli esperimenti.

C’è una fotografia dove l’oblò navale si trasfigurerà in una porta per l’eco montano: l’onda “scierà” nel fulcro dell’orizzonte, per il multiverso. Al macrocosmo, il bianconero concernerà un versante abissale. Può darsi che il razionalismo abbia “toppato” l’etichettatura d’un concettualismo inquadrante. L’oblò è circolare e dunque strabuzzante, alla “slavina” dello sguardo. Con la complicità amena d’una pozza, da un ruscello, quasi si percepirà un’emoticon, dagli occhi alla bocca. Più realisticamente ed irrealisticamente, una vallata incanterà l’escursionista. Ma quanto un terno di linee sarebbe, pericolosamente, tagliente come dal tetano? La roccia montana si percepisce sempre pulita, per sanità naturale. Nel contempo, alle ante od agli stipiti della porta sarebbe demandato il compito di trasfigurare l’ascensione per il bastone da trekking (senza più faticare). Fernando Pessoa immaginò che, prima di nascere, egli avesse abbandonato un molo, via nave, sotto il sole “obliquo” (basso) dell’alba. Esistendo, la vitalità sembra qualcosa che si snoda, dentro un “attracco” sull’Essere. Una volta salpati, il mare avrà un orizzonte infinito. Il multiverso del fotografo Marcello Vigoni sarà declinabile anche fra le reincarnazioni o le resurrezioni? Sicuramente in montagna le vallate si snodano con gli “attracchi” dei sentieri.