LOBODILATTICE

DALL'IMPASSE DELL'OASI AI NUOVI SEGNALI DI SROTOLAMENTO

Dal 12 Gennaio al 25 Febbraio, a Roma, il Polo Museale Sapienza ha allestito due mostre, e ricostruendo un’antologia per l’artista Bruno Lisi. Esteticamente, pare che a lui interessi dissezionare un possibile “anelito” delle ombre più metafisiche. Un orizzonte ci permette d’inquadrare le varie sagome, anche “vincendo” sulla loro concatenazione. Giorgio De Chirico tentò d’insabbiare ogni “oasi” del panorama, ricordandone l’illusione, al rimando verso l’incipit della cultura umana, che segue le precomprensioni della metafisica. Bruno Lisi si mette a “scartare” l’orizzonte del senso. Dato un panorama, possiamo percepirvi “l’arcobaleno” delle sagome concatenate. Il calore della giornata virtualmente fungerà da epidermide. La corporalità allora interviene, lasciando che il vissuto “si rimetta in cammino”. Così l’orizzonte del senso deve pulsare, e tramite le scelte (che prendiamo di volta in volta). Bruno Lisi ci racconterebbe una “dissezione” metafisica. Nei suoi quadri, si percepisce che il mero “anelito” della forma astratta può “pulsare”, raffigurando la prospettiva d’una “cifra”. Un racconto va sempre compreso alla fine. Le metafore letteralmente incartano il senso parziale. Servirà impegno, dissezionando tutte le “ombre” del linguaggio denotativo. Né sarebbe sufficiente adattarsi ad una scialba contemplazione. Il singolo puntello fra gli eventi in concatenazione avrà le sue “ombre” di contestualizzazione. La corporalità nei dipinti di Bruno Lisi si percepirebbe srotolata, facendo deviare, a tutte le latitudini, l’oasi dell’orizzonte inquadrante. C’è una narratività che “carbura”, mentre l’epidermide della forma “s’avvinghia” sull’animo del vissuto. La carnalità delle posa diventerà cifrata, se lo “strappo” dell’immagine mirerà a generare una sagoma. Lo stato embrionale ha gli sfregamenti degli orizzonti. Nella pittura di Bruno Lisi, la metafisica appare ricostruttiva del senso. I toni sovente hanno il calore epidermico, mentre gli organi pulsano dalla propria carnalità. Come insegna l’estetica orientale, la fase d’uno srotolamento (ad esempio da un papiro) simboleggia il “respiro” della sagoma, per raccontare le rovine del tempo passato, ma al basamento d’ombra per la rigenerazione d’un senso. Ci piace immaginare che a volte si raffiguri il “bozzolo” d’una mano. Qualcosa che funga da miniatura per l’oasi del panorama, prima accarezzata e poi “sfilata” dal pensiero. Esteticamente c’è il figurale di Francis Bacon, quantunque in una dialettica più intima, al tentativo di srotolare “l’anelito” del vissuto. Pare che le forme si restringano ad uno stato embrionale, al di là dei limiti esteriori per la prospettiva. Resta la dissezione per srotolamento, poiché conta il “racconto” della vita. A Roma, la mostra tipicamente antologica Opere dal 1958 al 2012 è stata accompagnata a quella Segno aperto (e già allestita nel 2003, presso un gallerista). Un pool di critici (Camilla Boemio, Patrizia Ferri, Francesca Gallo, Francesco Moschini, Marcello Venturoli, Marisa Volpi) aveva curato i testi per il catalogo ufficiale, sotto l’interessamento dell’Università La Sapienza. Alcuni quadri erano stati appesi, senza il telaio, in mezzo alle sale ma a discreta altezza. Qualcosa che avrebbe incrementato la carica “oracolare”, con citazioni orientaleggianti. Se il cielo potesse rotolare, allora sarebbe davvero un altro mondo...

Nel quadro dal titolo Gesto, Bruno Lisi espone uno sfondo viola. Si percepisce il restringimento della calorosità, e complice un “cerotto” figurativo. Qualcosa che proverà ad intercettare le tante “pulsazioni” dei vortici, più in lontananza che appena sottostanti. Nel complesso, sembra un ingrandimento al microscopio. Pure la zattera diventerà un’oasi, nel miraggio di raggiungere l’agognata terraferma. Invece, il gesto del braccio che dipinge riuscirebbe a “smarcarsi” dai condizionamenti esistenzialistici. I raggi ultravioletti sono posti al rotolamento dello spettro visibile, per l’uomo. I colori vanno sempre distinti. Più genericamente esiste la lunghezza d’onda, che in società noi cerchiamo d’intercettare, affinché l’esistenzialismo di ciascuno sia almeno supportato. I vortici viola si percepiscono in via lunare, e forse condizionando il flusso dei pensieri.

Nel quadro dal titolo Segno, pare che possiamo “srotolare” una persiana a stecche assai fitte. Dietro, emergerebbe una figura nascosta. Al centro, il montante sarebbe stato “strappato”, per una faglia dell’intero quadro. Il tono del verde acqua si percepisce dialettico, permettendo alle foglie d’ondeggiare. La faglia è posta in verticale, per un totem ai segnali oniricamente di fumo, dalla figura nascosta. Se uno volesse mettere un puntello di legno in acqua, quello potrebbe al massimo cullarsi nel suo frastagliamento. Un bere limpido mantiene il verde della vita. Ciò non toglie che si debba intercettare la spiritualità, mediante il cielo interiore del respiro. In specie, pare di scoprire una maschera, avente gli occhi ai lati della faglia centrale. Messa così, di certo lo sfregamento si percepisce meglio dell’ondeggiamento. La faglia centrale mostra una tonalità tendente al celeste.

Consideriamo la raccolta di poesie Beltà, pubblicata da Andrea Zanzotto. Pare che egli voglia allontanare il significante (meramente alla grafia lessicale) dal suo significato (avente una vena concettuale, e stabilizzante grazie all’universalità dell’astrazione). Andrea Zanzotto ricorre con insistenza all’allitterazione. Così, ogni parola tenderebbe a percepirsi verso la profondità di se stessa, come a darsi nella propria “scia”. Conosciamo un verso dove, secondo il poeta, accade che il linguaggio “dentifica” per andare a “vacuolare”. Le cavità della spugna non contengono un liquido, bensì lo lasciano profondamente nella “scia” di se stesso. Si parla esattamente di vacuoli. La gengiva funziona in modo simile, sostenendo il dente mentre visivamente lo avvinghia. Nella raccolta di poesie Beltà, Andrea Zanzotto lascia che il linguaggio sia preso per i suoi “denti” (cioè nella sola grafia), tramite l’allitterazione, senza la digestione della comprensione concettuale.

Nelle installazioni del ciclo che s’intitola Metacrilati, noi immaginiamo una dialettica. C’è la gigantografia d’una piuma, in grado di liberare l’inchiostro. Ma subentra anche una sinestesia musicale, dal contrabbasso. Si tende spesso a percepire la teca all’uso d’un sezionamento, per valorizzare un particolare dettaglio (evitando che qualcuno lo “oltraggi”). A Bruno Lisi interessa la tensione dell’inchiostro, verso la profondità d’uno sfregamento. La teca, una volta portata in un museo, sarà virtualmente avvinghiata dai vari visitatori, al loro passaggio. La piuma può volteggiare; ma inevitabilmente dovrà cadere a terra. Lo stato vegetativo del vissuto presuppone il racconto degli eventi passati. Se la marmitta è sempre nera, il contrabbasso potrà pulirla, rimpiazzandola con la tastiera. Ma vi resterà la sonorità “carburante”, per la piuma che s’accartoccia in volo. La teca da un lato avvinghia il suo “trofeo”, e dall’altro lato sostiene la “scia” dei visitatori. Ovvio la chiusura opprime, per cui la richiesta del respiro diventa piangente. Più positivamente, Bruno Lisi vi espone i colori della vita (che è sempre diversa dalle nostre aspettative).

Nei quadri del ciclo che s’intitola Segno aperto, in modo esteticamente informale conta l’allitterazione della linea. C’è il caratteristico rotolamento delle fascine, cosicché il costruttivismo finale non sarà “appagato” dal proprio impianto, riservandosi ancora un “impulso” al ripensamento. L’allitterazione si percepisce sempre al balbettamento d’una simbologia, mentre sale la curiosità quasi “cabalistica” d’un < Perché avviene questo? >. Ci sono certi quadri in cui le linee avrebbero impiantato una gru edilizia. Mattone dopo mattone, alla fine la figurazione esce. Con l’astrattismo informale, in realtà, le linee rimarranno aperte a tutto un “ventaglio” di possibilità ulteriori, ed in specie “slacciandosi” verso il “gioco con l’infinito”. Oltre il quadro, c’è sempre qualcosa da “pescare”, anziché da montare. Ricordiamo il gioco dello shangai, mentre Bruno Lisi non disdegna la colorazione per lo sfondo, incanalandone il vissuto, dentro l’imprevedibilità degli avvenimenti.

Nei quadri del ciclo che s’intitola Anni 70, torna spesso la raffigurazione della bocca. Ben oltre la carnosità delle labbra, si percepisce lo sbrodolamento virtuale delle papille gustative. Sembra che l’artista giochi sull’illusione ottica d’un ingrandimento. La cellula simboleggia un’istintività primordiale. L’evoluzionismo ci racconta che l’uomo deriva dai pesci, passando per le alghe. In qualche caso l’artista ha optato per lo sfondo celeste, favorendo una conclusione più “spiritualizzante” per l’indispensabile acquosità della vita. Sospesa nel vuoto, la bocca potrebbe nuotare, fra le “scie” dei propri sbrodolamenti. L’insistenza sulla carnosità gustativa ci dimostra il ciclo della vita. Questo varrà dagli istinti primordiali al wellness contemporaneo (che la pubblicità macchierebbe, attraverso il decorativismo, quando il pop è funzionale unicamente al mercato).

C’è un quadro in cui la figura umana sembra a “scartarsi” come un cavallo alato, per una messaggeria dagli impulsi alla spiritualità. L’alga primordiale nuoterebbe in un “mare solare”, dai toni del giallo e del rosso. L’erotismo ha il “cerotto” raffreddante dell’amore. Ciò si percepisce mediante la pudicizia del bianco, in basso (quindi al posto d’ogni ricaduta verso l’immanenza). Platonicamente, l’animo spirituale dovrà “smarcarsi” dalla corporalità animale. Al centro del quadro, emerge il dettaglio del piede. Esiste lo “smarcamento” del passo dopo passo, che appartiene anche alla generazione (dall’embrione al feto, dentro al grembo).

Nella serie di quadri per il ciclo Anni 70, spesso torna il simbolismo dell’uovo. Qualcosa che l’artista può colorare in nero, per la “cifra” d’una generazione addirittura spaziale. Alla pulsazione “galattica”, le uova saranno così oniriche da diventare concentriche. Più scientificamente, noi conosciamo il buco nero. Forse, quello avrà causato il rotolamento per il ciclo della vita (da un primo ad un secondo mondo). Le uova che sgocciolano cedono alla propria concentrazione. Ma noi immaginiamo che Bruno Lisi le voglia inserire dentro al tipico test di gravidanza, complice il tono “a spia” del fucsia, per una generazione di quello rosso, fermo alla sola immanenza del sangue.

Nel ciclo di quadri che s’intitola Sfere, le linee possono diventare vorticose. Anzi, pare che il colore renda la tela totalmente radioattiva. Una sfera si percepisce fisicamente alla perfezione dell’inerzia. Bruno Lisi prova ad esibire uno spettro “candidamente” radioattivo, col bianco che magari non pacificherebbe, ma quantomeno cullerebbe. La stessa figura del tornado occupa un terzo del quadro. Sembra il faro d’un semaforo, complice la preferenza per un ritaglio a stele, in verticale. La sfera espansa potrebbe fluttuare, al tono del blu. Ciascuna scelta che noi prendiamo in vita ha le sue conseguenze; ma quelle si sfumeranno in un senso tutto da “srotolare”. In altri quadri, la segnalazione è più “diretta”, alludendo al torsolo dei legami che ci “mangiano”, e spesso con l’avvertimento del tono giallo.