LOBODILATTICE

TUTTO E' GIA' COMBINATO, FINCHE' LO STILE NON DISARTICOLA LA MONUMENTALITA'

A Vicenza, presso la Fondazione “Coppola”, è visitabile sino al 31 Luglio la mostra Misfits, avente le opere “eclettiche” (in carta, pittura, video e scultura) dell’artista Markus Schinwald, nato in Austria. In particolare a lui interessa “corrompere” la raffigurazione, al fine di “straniare” il simbolismo. Citando il titolo della mostra, il disadattato è tale in quanto ha perso la sua “maschera” di certezze, e non gli resta molto tempo per “barcamenarsi”. Un manipolatore letteralmente tiene “incollati” i “cocci” del suo sottomesso, illudendolo d’inseguire qualsiasi libertà di ricerca. Ma l’eventuale presa di coscienza che tutto sarà stato un inganno si rivelerà come “dura da digerire”. Un vero simbolo funge da “stimolo” per andare alla ricerca d’un senso, e non può degradarsi al già “combinato”. Nella raffigurazione di Schinwald, si percepisce che l’astrattezza d’un inganno “maligno” ha fatto “cadere le braccia” per l’ingenuo “appiglio” d’un simbolismo. E’ un’estetica della demistificazione, che si riversa contro chi detiene il potere. Ma la “corta tirata troppo”, da parte del manipolatore, avrà portato alla protesta dei propri sottomessi, per le aspirazioni deluse? Non è un caso che l’artista ami “demitizzare” la monumentalità, dove l’astrattezza del simbolismo vorrebbe vincere persino la caducità del tempo, e cementandosi a livello più culturale che naturale. Nella ritrattistica, forse il sottomesso avrà il “mero sentore” di subire una manipolazione, mentre posa dando la schiena a noi che, invece, diventiamo il “genio buono” (disponibile a toglierli l’inquietante fardello d’uno stecco conficcato, o d’una mascherina asfissiante). L’atmosfera sospesa fra i secoli del ‘700 / ‘800 non rappresenta quella delle prime rivoluzioni per la libertà. A noi sembra che le persone ritratte abbiano uno stile di vita agiato, per cui, se dovessero “aprire gli occhi” contro il “collage” della cultura dominante, rischierebbero il “blackout” per la tensione.

Secondo Nietzsche, pure i fenomeni “autenticamente” estetici sono costretti a significarsi, contraddicendo il loro “desiderio” di sfuggire alla banalità del concettualismo. Ma si potrà viverne lo “stile”, sino a demitizzare tutta l’assolutezza d’uno “spirito apollineo”. Più precisamente il significato sarà percettivo, così da contraddirsi tramite la “fuggevolezza” dell’interpretazione. Uno stile va sempre assunto, dunque consente che ci “ritagliamo uno spazio” oltre la “maschera” inquadrante d’un codice. L’artista cerca quei dettagli che coinvolgono, passando dalla percezione d’un tono o d’una forma all’interpretazione “instabilmente” apollinea d’un simbolismo. Se il vivere è l’assunzione d’un comportamento, meglio con lo stile, allora si potrà “smascherare” pure il condizionamento dell’utilitarismo, che gli Altri c’impongono freddamente. Solo l’arte garantisce un “genuino” appeal fra i sentimenti (al materialismo) e le idee (allo spiritualismo). Per il vitalismo di Nietzsche, l’energia della percezione deriva da una “chimica” della reinterpretazione. Se l’arte è sempre trasformativa, allora le sue “maschere” avranno “l’innocenza” etica del disinteresse. L’uomo si garantirà il comportamento “di stile” quando vorrà… di volere. Tale espressione appare al coinvolgimento d’una reinterpretazione, che poi si pratica per la propria responsabilizzazione. Fenomenologicamente l’assunzione del vitalismo permette di “demitizzare” l’imposizione dell’utilitarismo. Chi ha stile sarebbe già “allenato” da se stesso ad “attrarre” un intero “mondo” di significati. Positivamente egli s’appoggerà alla percezione, in specie di tipo estetico, tramite cui la spiritualità “si ritaglia” la propria astrazione. La codificazione criptica d’una “chimica” fra i sentimenti e le idee (dal dionisiaco vitalistico all’apollineo concettualistico) sarà troppo “coinvolgente” perché noi riusciamo a “distaccarla”. Alla fine, ci resterà un parallelismo fenomenologico: dalla fuggevolezza della percezione all’interpretazione del linguaggio (specialmente grazie al simbolismo estetico).

A Venezia, la mostra di Schinwald s’apre con un’installazione che raccoglie dodici marionette, di bambini chissà quanto sulla via dell’adolescenza. Quelle si percepirebbero appesantite non solo dal filo astratto, ma anche dai vestiti eleganti, dalle pose “forzate” e dagli sguardi severi (forse per protesta). Con l’ausilio della meccanica, i movimenti programmati dall’artista si renderanno solo stereotipati. Le marionette batteranno i piedi come una banda od un plotone, ma nel contempo si sbraccerebbero per la soglia raggiunta ad una lunga sopportazione. C’è dunque una contraddizione subliminale, fra le “redini” della cultura dominante e la “naturalezza” al rivendicare l’autonomia privata, per la prima volta (da adulti). Uno stile metterà in marcia? Se da bambini l’insegnamento dei genitori ci garantisce un “filo conduttore” sulla naturalezza della nostra vita, allora quello “si ritaglierà” il proprio spazio durante la maturazione personalizzata, da adulti. Il battere i piedi rappresenta un po’ l’applicazione simbolica per la “chimica” fra i sentimenti e le idee. Chi ha ricevuto i vari insegnamenti, sarà anche “allenato” a capirne il grado di coinvolgimento o di distacco, dialetticamente. Secondo il simbolismo, non possiamo far altro che “andare sempre incontro” alla nostra vita (dalla nascita alla morte). Queste marionette provano ad associarsi, e chissà se contro il medesimo avversario. Dialetticamente, i nuovi adulti dovranno cedere all’utilitarismo canonizzato d’una propria cultura…

Nel dipinto che s’intitola Laura, vediamo l’inquietante dettaglio d’un doppio stecco, il quale ha trafitto le guance. Ritratto dandoci le spalle, il mezzobusto vale essenzialmente per via della pettinatura voluminosa. Immaginiamo che il casco d’un parrucchiere sia stato “ritagliato” con troppa precisione, sino a ferire le guance. La “maschera” dell’ordinamento socioculturale dapprima incolla il look esteriore, quindi serra il compiacimento interiore. Il secondo è soltanto un’illusione. Le “pale” del casco non fanno girare la testa. Manca l’assunzione personalizzata d’uno stile, ed anzi il mezzobusto poserebbe fidandosi “alla cieca”. Schinwald ha deciso di seguire la ritrattistica moderna, con le velature che fanno “colare” il naturalismo dello sfondo, verso la sentimentalità del soggetto. Non ci sono i ritagli del cubismo, i vortici del futurismo o le sospensioni dell’astrattismo. Schinwald prova ad incollare le figure pure simbolicamente, con lo stecco per un “rotolo” della guancia e la mascherina che potrebbe “sequestrare” un’intera vita, come avviene per il dipinto dal titolo Carl. Così è dura da digerire, mentre il simbolismo pare a somatizzare una protesi paurosamente “maligna”. Schinwald ha dipinto la mascherina qualche anno prima che l’umanità conoscesse la nuova pandemia. La filosofia contemporanea presenta il paradosso della biopolitica, laddove, sotto il pretesto di favorire al massimo la libertà individuale, lo Stato ne approfitta per controllare al massimo ciascun “sentore” di protesta, talvolta dimostrando che conviene sperimentare od “arrangiarsi” solo all’ufficialità dei tecnici. Nel quadro che s’intitola Laura, lo stecco serve a dare un altro “battito”. E’ l’estetica d’una “chimica” esistenzialistica fra i sentimenti e le idee, per un simbolismo che consentirebbe di demistificare la biopolitica.

A Vicenza, Schinwald ha concluso la sua mostra (al piano più alto della Fondazione “Coppola”) appendendo una serie di stampe su carta. In quelle c’è la raffigurazione molto realistica di alcuni monumenti. Solo che l’artista sceglie di togliere ogni statua, lasciando il basamento “sospeso” in se stesso. I personaggi scolpiti sarebbero di nuovo appartenuti al periodo ormai moderno del ‘700 / ‘800. L’installazione di Schinwald idealmente si presta al terrazzo panoramico della torre che la Fondazione “Coppola” può usare per le proprie mostre. L’artista ha sul serio consentito che alla monumentalità “cadessero le braccia”. Una statua va percepita in tutta la teatralità delle sue gesta, celebrando la vita d’un certo eroe (politico, militare, intellettuale ecc…). Tecnicamente la demitizzazione coinvolge la carta. Il segno si percepirà se non a “bruciare” quantomeno ad ombreggiare il collage pittorico fra le velature. La monumentalità troncata d’ogni retorica storicistica è meno attraente per la coscienza civile. La gente non scenderà più in piazza? A quella mancherà il supporto virtuale dell’illustre predecessore. Ne deriva che i singoli cittadini cominceranno a concentrarsi di più sui propri interessi. Dialetticamente, la decadenza del mito s’accompagnerà ad un rimodellamento della vita. E’ uno degli “auguri” del filosofo Nietzsche. Tuttavia l’età contemporanea rischia il paradosso opposto: quello di partire dai bisogni vitali per giustificare il “mito interiorizzato” del relativismo pragmatico. Lo stesso Schinwald ci esibisce altre sculture, e dove gli elementi dall’assemblaggio a piacimento hanno il preoccupante simbolismo degli organismi geneticamente modificati.