LOBODILATTICE

W W W ( 8 agosto 1991 )

Inaugura

Sabato, 18 Dicembre, 2021 - 16:30

Presso

Nuvole Arte Contemporanea di montesarchio
via IV Novembre I Trav.

A cura di

Domenico Maria Papa

Partecipa

Italo Mustone

Fino a

Venerdì, 18 Febbraio, 2022 - 20:00

W W W ( 8 agosto 1991 )

Comunicato

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

Dal 6 agosto 1991, con il primo sito web, è cambiato il modo con cui ci informiamo, entriamo in contatto con gli altri, costruiamo amicizie, lavoriamo e ci divertiamo. La stessa produzione culturale si è trasformata: non tende più, o almeno non in modo prevalentemente alla produzione di oggetti fisici, ma di opere che hanno una consistenza meramente digitale. E le arti visive? Che ne è di un quadro, di una scultura, di un disegno?L’arte, a suo modo, resiste alla trasformazione in atto. Una parte consistente della pittura o della scultura ha a che fare ancora con manufatti fisici. L’arte rimane il luogo di una realtà che coinvolge i sensi e i corpi, ma non può essere più il luogo dal quale una riflessione su tale radicale trasformazione è bandita. Anzi è necessario e urgente che a questa riflessione si dia una forma. Estetica, possibilmente.

È quanto fa Italo Mustone, con il progetto realizzato per la Galleria Nuvole Arte. L’artista si sofferma sul tema dello schermo, che nelle tecnologie che usiamo è, al tempo stesso, la superficie dei pixel, ma anche uno specchio nel quale ci riflettiamo alimentando un nuovo parossistico narcisismo.

Gli algoritmi che selezionano per noi notizie, post dei social, film e musiche, tendono, infatti, a soddisfare quanto più possibile le nostre aspettative, per un’ovvia ragione di mercato, ma nutrirci di quanto già sappiamo o che già preferiamo finisce inevitabilmente per ottundere qualsiasi curiosità, per allontanare la scoperta sorprendente, per disinnescare ogni rischio di smarrimento che, in fondo, è proprio ciò che chiediamo all’arte. La riflessione di Mustone nasce da una constatazione condivisa: il lungo periodo di lockdown che abbiamo affrontato, la necessità del distanziamento e della chiusura, non ha fatto altro che spingerci, in modo esclusivo, di fronte a uno schermo al quale abbiamo chiesto di informarci, intrattenerci, socializzare, finendo con l’accrescere una lontananza fisica ed esistenziale mai prima sperimentata.Sappiamo, però, che la parola contagio deriva dal verbo latino contingo che significa sì contaminare, ma anche toccare, entrare in relazione. E il contatto fonda ogni modalità di trasmissione culturale. Nel perimetro di un gruppo, della famiglia, il con-tingěre è vitale. Rafforza l’appartenenza e la fiducia. Si toccano la madre e il figlio, prima ancora di parlarsi. Si toccano i bambini che giocano. Un qualsiasi gesto di cura è impensabile senza potersi avvicinare a chi ne ha bisogno. Oggi impariamo che è necessario ripensare la prossimità. Tra gli individui e i loro corpi, tra le specie nel rapporto con il vivente tutto, con l’estraneo che ci siamo abituati a considerare straniero. Impariamo, così, che per il necessario contagio dell’arte è necessario attraversare lo schermo, farne un’opera fisica, tirarlo fuori dalla sua bidimensionalità, che sia utilizzato per qualcosa di diverso da ciò per cui è stato progettato. Dunque l’arte, e in questo caso, la ricerca di Italo Mustone, opera questa trasposizione dallo schermo solitario della camera o di uno studio alla galleria, nella quale la fruizione pubblica e condivisa riconsegni a una comunità la funzione di veicolare valori e immagini e all’arte la funzione del contagio delle idee. [Domenico Maria Papa]

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