LOBODILATTICE

Victor Ferraj. Omaggio alla vita

Inaugura

Sabato, 20 Novembre, 2021 - 17:00

Presso

Galleria Arianna Sartori
Via Cappello, 17 - Mantova

A cura di

Arianna Sartori

Partecipa

Victor Ferraj

Fino a

Giovedì, 2 Dicembre, 2021 - 19:30

Victor Ferraj. Omaggio alla vita

Comunicato

Una nuova personale dell’artista albanese Victor Ferraj sarà possibile ammirare alla Galleria Arianna Sartori, a Mantova nella sala di via Cappello 17, dove saranno esposti dipinti su tela di grande formato.

La mostra “Omaggio alla vita”, organizzata da Arianna Sartori, si inaugurerà sabato 20 novembre alle ore 17.00 e resterà aperta al pubblico fino al prossimo 2 dicembre 2021.

 

Il vento della mente di Victor Ferraj

I. Se si considera dentro un unico svolgimento la linea lunga di espansione-riflessione che raccorda le produzioni pittoriche di Simbolismo, Metafisica e Surrealismo, archetipi e originale formatività di alcuni artisti del nostro tempo considerati "ecentrici", rispetto all'accelerato percorso dei movimenti à la page, possono risultare meglio precisati. Si valuti in questa prospettiva la ricerca figurativa di un pittore come Victor Ferraj e il carattere antagonistico della sua opera rispetto all'edonismo, non solo estetico, del cosiddetto postmodernismo. L'artista albanese (è nato a Tirana nel 1965, ma vive in Italia da oltre un decennio) propone una vie delle formes che sia in grado di guardare ai modelli classici, non inseguendo un eîdos ideale, ma puntando piuttosto a un'espressione semplificata, asciutta come un affresco, in cui il rapporto tra la figura, in genere nuda, e il paesaggio di sfondo, vale a dare il senso profondo dell'apparenza, un effetto che nasconde e sottende una segreta armonia.

I ritratti e gli oggetti di Ferraj hanno una chiara referenza ‑ e questo è stato già notato da alcuni critici ‑ con le rappresentazioni dei protagonisti di "Valori plastici". L'atteggiamento dei corpi ignudi al pari di statue, il rapporto con l'horror vacui dello sfondo, la capacità di evocare una sintesi unita e nello stesso tempo dissonante dentro una struttura di calcolate scansioni, in grado di mettere in evidenza nel quadro altre interne disposizioni, rinvia molte volte, ma con notevole libertà, a quella che viene comunemente designata come seconda fase dell'opera di Farraj, nella quale l'intensità dell'invisibile è in tutto omologa all'intensità del silenzio. In tecniche miste del 2002 quali Pensiero nel tempo, Attesa simbolica e Inventore, non è più la mêtis colorata dell'artista a irradiarne i significati, ovvero d'invisibile la realtà, ma è la realtà stessa a sprigionare l'invisibile come rifiuto di ogni commento, come manifestazione del proprio silenzio: che non è il silenzio dell'enigma, ma della conciliazione, della caduta dei perché.

Quando Apollinaire scriveva, nella svolta degli anni Dieci, che Giorgio de Chirico gli appariva l'unico pittore moderno che non risultava influenzato dalla linea di svolgimento francese che portava dall'Impressionismo al Cubismo, dimenticava di segnalare quali positive influenze avesse vissuto il Pictor Optimus, ben attento a registrare a Monaco, negli anni di formazione, gli umori della pittura visionaria di un Böcklin e di un Klinger. Egli è stato esplicito nel dichiarare le suggestioni tedesche sul nucleo poetico della sua metafisica, quando il giovne pittore italo‑greco sottolinea ‑ riprendendo una chiara citazione dell'Ecce Homo di Nietzsche ‑ che "l'immagine non voluta, il confronto involontario, sono quanto di più straordinario: non si ha più l'idea di che cosa siano l'immagine e il confronto, tutto ci si propone come l'espressione più nostra, più esatta, più semplice". Anche questo è un tracciato della lunga linea dell'ambiguo riconoscimento della realtà, del gioco strutturante delle apparenze, a cui fa riferimento la poiesis ferrajana.

II. Il percorso della visione del mondo, della Weltanschauung di Ferraj, ridefinita nella filosofia contemporanea del "pensiero debole" come fine delle grandi narrazioni (grand récits) e che porta, alla fine, alla pratica dissacratoria di ogni avanguardia storica, ha senza dubbio un momento di riflessione fondante nella metafisica di de Chirico, magari sentita attraverso il colore calcinoso di Sironi e di Permeke. In questa singolare esperienza pittorica la cultura nordica e la visione classica mediterranea si compenetrano in una serie di sfuggenti rispecchiamenti. In effetti c'è nel maestro de Le muse inquietanti e in Ferraj una comune preoccupazione di sondare la rappresentazione figurativa come matrice di simboli: c'è la preoccupazione di segnare confini cromatici nello stesso tempo in cui vengono stravolti i limiti dell'ovvietà del senso comune: c'è, nell'uno e nell'altro artista, una parallela strategia di esplorazione del segno‑immagine. Questa frase dell'Hebdomeros di de Chirico - un geniale testo autobiografico concepito in chiave surrealista ‑ può essere riferita alla "condensazione" di figure‑simbolo che con ostinazione Ferraj persegue in dipinti recenti del tipo di Figura con la pianta n. 1, di Ritratto/icona n. 4 e di Convivio celeste: "… quando avete trovato un segno, voltatelo e rivoltatelo in tutti i lati, guardatelo di faccia e di profilo, di tre quarti e di scorcio, fatelo sparire e osservate quale forma piglia al suo posto il ricordo del suo aspetto, guardate da quale lato esso assomiglia al cavallo e da quale altro alla cornice del vostro soffitto".

Nel surrealismo sui generis di Ferraj e di de Chirico vivono - a nostro giudizio ‑, sullo stilema creativo, dei lunghi svolgimenti europei: né prigionieri del gioco automatico, né sottoposti alla pulsione travolgente di fantasmi grandiosi; entrambi però in grado di eccitare la costruzione di un'apparenza al di là della realtà. Sennonchè, la rêverie neoromantica di Ferraj ha altre referenze oblique e pressanti: Hermann Albert, Gregorio Cuartas, Ivan Theimer, Antonio Lopez Garcia e Harry Holland. Come de Chirico, egli oppone geometria e architettura al culto fenomenico dell'immagine; in questo è animato da una luce vertiginosa e da una cromia continua che non possono non essere considerate nordiche e mediterranee in pari tempo. In ogni suo dipinto c'è una scrupolosa definizione della rappresentazione dei limiti dello spazio chiuso. La "stanza" ha un assetto cubico: muri rosso‑mattone ben definiti, soffitti quasi sempre aperti all'azzurro del cielo che dichiarano un centro, superfici nette e in simmetria che esaltano il non‑senso; o da presenze che stanno là soltanto a suggerire un'assenza, dei pieni che stanno là soltanto a suggerire dei vuoti, come appunto il frammento marmoreo o addirittura la sua orma che è presenza che rimanda, con il proprio vuoto, a una entità assente che, a sua volta, denuncia con la propria frammentarietà ulteriore assenza.

Mentre i movimenti dell'universo fantastico di Ferraj sono imprigionati di ogni singolo elemento della composizione, la stasi dei personaggi‑statue risulta espressa in una meccanica dichiarata ed evidente. In Dialogo eterno e in Archeologia naturale la stanza è uno spazio di concentrazione. Chi guarda è portato dentro ad esplorarla e misurarla: è un topos dove la geometria lineare può ripiegarsi riflessivamente o generare, all'opposto, distanti e, inversivi fantasmi. Essa è anche un luogo in cui il tempo può essere dilatato, disorientato e annullato. Questa particolare dimensione del tempo interviene, spesso nella definizione del campo iconografico ferrajano: figure, animali ed oggetti, appartengono allo stesso ciclo: coniugano situazioni e pulsioni, incrociano apparenza e realtà. È, infine, una stanza silenziosa dove le "presenze mute" ‑ per dirla con il Lévinas de Le temps et l'autre ‑ parlano un loro linguaggio eloquente e irriproducibile che agita un vento della mente leggero e infrenabile.

Floriano De Santi, 2004

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