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Cazzaniga. Jazz man

Inaugura

Sabato, 6 Aprile, 2019 - 17:30

Presso

Galleria Arianna Sartori
Via Cappello 17, Mantova

A cura di

Arianna Sartori

Partecipa

Giancarlo Cazzaniga

Fino a

Giovedì, 18 Aprile, 2019 - 19:30

Cazzaniga. Jazz man

Comunicato

La Galleria Arianna Sartori di Mantova, nella sede di via Cappello 17, inaugura la mostra “Jazz man” opere del Maestro Giancarlo Cazzaniga (Monza 1930 – Milano 2013), Sabato 6 aprile alle ore 17.30.

Dipinti ad olio su tela, tecniche miste su carta e sculture in bronzo si potranno ammirare in Galleria dal 6 al 18 aprile 2019.

Con questa mostra, Arianna Sartori ricorda l’amico artista Cazzaniga, che ospitò esattamente quattordici anni fa (aprile 2005) con una importante mostra personale e che ebbe un notevole riscontro.

 

 

Per farci compagnia

Intanto, una persona rara e cara. Quando penso a Giancarlo Cazzaniga, prima dei suoi quadri, trovo lui. Seduto un po’ sghembo su una sedia scura, nella Galleria del suo caro amico Mario Palmieri, confinante con lo studio di Paolo Sarpi. L’immagine è preziosa, abbinata ad una sensazione di affetto, di tenerezza. Perché Giancarlo era gentile e dolce nei modi, mai un calcolo, una presunzione. Trattava il vivere, se stesso, il proprio lavoro come una necessità e un privilegio, senza metterla giù dura. Preso piuttosto da una umiltà rarissima, qualcosa che mi ha sempre ricordato (al pari delle sue figure dipinte) Alberto Giacometti. Entrambi pronti a minimizzare la propria arte piuttosto che esaltarla; a considerarsi in viaggio verso una compiutezza magari irraggiungibile. Credo che questo atteggiamento sia molto prezioso. Permette una vicinanza autentica tra gesto e pensiero intesi come senso del fare comune, come qualcosa che riguarda e appartiene a ciascuno di noi. Dunque, mentre osservavo con meraviglia e ammirazione le sue opere, avevo a che fare un uomo simile a me, preso dalle proprie imperfezioni, dagli inciampi dell’esistenza, tutte faccende moto, molto più alte e complesse delle azioni che pure portiamo avanti cercando il nostro meglio, facendo i conti con il nostro peggio.

Non sono un esperto d’arte. Mi interessano le persone. In questo caso, che è stato poi un incontro indimenticabile, lo sguardo che analizzava una carta, una tela di Cazzaniga, non poteva prescindere da Giancarlo. Da una visione del mondo e della propria anima decifrabile e accogliente; riservata e nel contempo spalancata. Per questo, nel parlare di ciò che Cazzaniga ci ha consegnato e ci ha lasciato, beh, trovo una assonanza. Sia con il suo modo di stare al mondo, sia con il nostro. Luce e ombra. Notte e giorno. Questo ho sempre pensato. La luce della natura, cosi fedelmente ritratta, sintetizzata, i colori strepitosi del confine che separa terra e mare, solido e liquido, un confine estremo e permanente. Fiori e sponde come ribalte dalle quali affacciarsi, tenendo i piedi a terra, però, trattenuti dalla bellezza struggente di una ginestra, dalle tinte sottolineate di una pianta, di un fiore. Scansioni del presente come conforti minimi eppure decisivi. Sole come partitura sottointesa. La bellezza regalata, mai data per scontata. Vita piena. Sulla soglia, appunto, di un mistero, di un universo sconosciuto.

Poi c’era la notte, le sue notti e le nostre, ancora una volta. Jazzisti come simboli di una condizione umana molto precisa. Frenesia e abbandono. Controtempi e intensità. Giacometti, ancora una volta; Francis Bacon, ovviamente. Uomini consumati e stravolti dalla smania di vivere, dominati dai loro strumenti. Il jazz come partitura di una quotidianità senza lieto fine. Lo spettro della morte come un’ombra tra le ombre, come uno velo che liofilizza e mostra la destinazione. Verso la quale correre, azzannando ogni istante, ogni minuto. Tempo. Ritmo. Una sessione interminabile, inevitabile, dentro la quale sbattersi, perdersi, campare. Jazzisti come artisti, come operai alla catena, come anime perseguitate da una consapevolezza formidabile. La percezione della fine a fare da sottofondo.

Credo che Cazzaniga abbia amato i signori del jazz perché in qualche modo avevano molto in comune con i signori autentici dell’arte. Fame e patimento; slanci e generosità; debolezze formidabili e una forza segreta. Non solo. Nei suoi quadri in musica, c’è la nostra Milano, una città quasi scomparsa ma sino a ieri in perfetta simbiosi con il jazz. Non a caso, jazzmen come amici, da Franco Cerri a Chet Baker, che sono a loro volta luce e ombra dentro una lunga notte musicale e milanesissima.

Oh, sì, molta passione, una gran nostalgia. Quadri così consoni ad un album fotografico denso, che contiene i volti del Giamaica, il bianco e nero di una città che era in bianco e nero per davvero, nebbia e cappotti con la martingala; ghisa, trattorie, cinismo, integrazione. La prima, da primo dopoguerra, per una città colma di energia e di umanità. Di gran lunga più accogliente di quanto si è detto, talvolta si dice, ripetendo un luogo comune ma vuoto.

Sono convinto che viaggiare dentro l’opera di Giancarlo Cazzaniga sia un atto doveroso, soprattutto per chi ha pochi anni, non ha visto, non può ricordare. Un vero Maestro, senza un briciolo di retorica. Una guida perfetta per attraversare se stessi attraversando un tempo che ci riguarda, ci appartiene comunque.

Dunque, grazie. A chi, osservando un quadro, un disegno, dedicherà una riflessione, una aspirazione ad osservare altro, a conoscere meglio. Con la certezza di trovare una carezza, l’onestà di una aspirazione alta, un amore che, per fortuna, questo sì, non muore affatto.

Farsi compagnia è un privilegio raro, un piacere. E Giancarlo può diventare in pochi istanti, un compagno di strada memorabile, anche se, mannaggia, non c’è più.

Grazie, Giancarlo, proprio così. Grazie sempre.

Con orgoglio.

Giorgio Terruzzi

 

Ricordo di Giancarlo Cazzaniga

(…) Conoscevo Cazzaniga come pittore “di disegno”, la cui marca pittorica era tutta giocata sul segno grafico, su quello che Raffaele Carrieri, parlando dei suoi Jazzmen, aveva chiamato un “gomitolo di nebbia” (e da cui avevo capito, per la prima volta, cosa volesse dire per un pittore italiano guardare a Francis Bacon per farne poi racconto intimo e personale). Quello che si presentava davanti ai miei occhi, invece, era un pittore di puro colore, che con pochi segni larghi e sicuri dava tutta la solenne profondità di un cielo ampio e arioso. Sembrava bastassero poche velature, ma a lui pareva che non ci fosse abbastanza luce, e che per questo era necessario smorzare delle bande di cielo in modo da creare un’atmosfera. Procedeva con apparente noncuranza, come se ogni aggiunta di colore fosse un azzardo calcolato, quasi come se volesse “sporcare” quello che aveva fatto. Del resto Cazzaniga stesso diceva di sé di essere uno a cui piaceva imbrattare la carta, che fin da ragazzo non provava piacere più grande di aver scovato un minuscolo ritaglio di carta su cui poter fare un piccolo schizzo o un disegno. Eppure in quello “sporcare”, solo apparentemente casuale, i gesti logicamente inspiegabili trovavano un senso: in quel cielo apparivano delle nubi fonde e cupe, ma con una luce interna data dal giallo e dalle terre chiare mescolate al blu e al cinabro. Il cielo dell’Italia centrale era proprio quello che Cazzaniga sapeva raccontare: un cielo compatto come una lavagna su cui figurare brevemente il modello. Nel cuore, però, egli conservava i cieli di lombarda, con quella cupezza tutta pittura e tutta colore tonale: quel cielo per cui Nicolas Rostkowsky, organizzando una delle sue ultime mostre a Parigi con una mia breve nota, lo aveva chiamato il “maitre des cieux”. Ma quel cielo era anche, pensandoci a posteriore, un luogo della mente per cui non aveva più bisogno di misurarsi col modello reale: il cielo era dentro di lui, come uno spazio di libertà e di respiro, di aria e di spirito che nella vita quotidiana, sempre più difficile, forse non trovava più.

Luca Pietro Nicoletti

 

 

Giancarlo Cazzaniga nasce a Monza il 20 settembre 1930.

Con tenacia e incoraggiamento del padre, si dedica agli studi di pittura. Studia all’Accademia Cimabue a Milano. L’amicizia col giornalista e critico d’arte Aurelio Sioli lo introduce alla famosa latteria delle sorelle Pirovini, in via Fiori Chiari e all’ambiente artistico che lì si ritrova. Inizia la frequentazione del clima di Brera, la partecipazione al dibattito culturale, la consuetudine con i protagonisti. Esordisce con una mostra personale a Brescia nel 1957. Nel 1958 è presente alla mostra “Giovani Artisti Italiani” alla Permanente di Milano.

Presenza significativa e testimoniale nella vivezza culturale di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta (tra arte, musica, letteratura), con Romagnoli, Ceretti, Vaglieri, Banchieri, Guerreschi, Bodini, Ferroni e altri giovani artisti, partecipa al movimento del Realismo Esistenziale, impegnato nella pittura che racconta la vita urbana; nel 1959 vince il Premio San Fedele. Cazzaniga matura rapporti con Chigine, Morlotti, Crippa e Peverelli, Manzoni e Castellani, Ajmone e Tadini.

Nel 1962 e nel 1966 è presente alla Biennale di Venezia, nel 1965 alla Quadriennale di Roma e, un anno dopo, alla Biennale Internazionale d’Alessandria d’Egitto.

La sua attività corredata da intensa bibliografia e da una lunga serie di mostre personali in sedi pubbliche e galleria private, delinea in Cazzaniga il profilo di un protagonista dell’arte contemporanea italiana.

Noto soprattutto per le sue opere incentrate sui “Jazz Men”, ascoltati e conosciuti negli anni dello storico locale di Brera, “il Giamaica”, negli anni dipinge anche una ricca serie di quadri che rappresentano la Riviera del Conero, ispirati al cielo e alla natura.

La sua opera è stata seguita da critici di grande finezza intellettuale come Franco Russoli e Roberto Tassi; ma anche da una rara partecipazione di scrittori e letterati come Davide Lajolo, Alberico Sala, Alfonso Gatto, Francesco Biamonti, Leonardo Sciascia.

Muore a Milano il 5 dicembre 2013.

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