LOBODILATTICE

QUANDO SI "SCALA" IL POP SUL SURREALISMO, ED IL TEMPO CI SPEDISCE UN "MASSAGGIO SUBLIMINALE"

A Padova, presso lo Spazio “Sirio”, è visitabile sino al 12 Settembre la mostra d’arte contemporanea Al settantapercento tutto Concetto Pozzati. Esteticamente, nei quadri emergerebbe un tentativo di mettere “in scala” il figurale astratto, ed in specie dal pop al surrealismo. La dimensione onirica è paradossalmente sia nascosta (sotto l’inquadramento della ragione), sia ingrandita (tramite l’intensità d’un risveglio che non sembra mai arrivare). Per l’artista, la difficoltà diventa quella di saper “zoomare” sulla sospensione d’un tempo biologico. Nella quotidianità, ciascuno segue i propri ritmi: in famiglia, a lavoro, per gli svaghi ecc… Tutto questo si farà elasticizzare dal cervello, il quale proverà ad inquadrare il “posto vacante” del vissuto reale. Ad esempio che senso ha lavorare al massimo, se poi s’avverte la stanchezza, impedendo di godersi il riposo (in famiglia o con gli svaghi)? Ci sarà forse un senso subliminale, derivato dalle nostre inclinazioni? Ciascuno avrà un fantasma dentro di sé, ad elasticizzare il respiro del vissuto oltre “l’ibernazione” dell’inconscio. La pop-art ci svela una simile sospensione dell’esistenza, ma rimanendo “vigile” sul materialismo economico. Il surrealismo dal canto suo sovente tende all’astrazione del senso. Nel mezzo c’è l’estetica di Pozzati, dove la figura si cerca un “posto” nel mondo, “zoomando” sul… “massaggio” subliminale fra la vitalità e l’inconscio. Così, il pop potrà riguarderà le pannocchie o le mani, ma impercettibilmente “in fuga” da ogni inquadramento sui ritmi della quotidianità. Il languore certo è elasticizzante, rispetto ai desideri repressi. La mano e la foglia possono accarezzare, raffigurando al meglio il “respiro subliminale” della vita. A Pozzati interessa il formato della cartolina, tramite cui si mette in scala tutta la sospensione temporale delle vacanze. Qualcosa che un po’ alla volta arriverà a destinazione, e chissà se per lo scopo malcelato d’invogliare a “ripensare” il proprio stakanovismo! Nei quadri di Pozzati, c’è uno zoom sul languore bramato del surrealismo che si vive. Anche prima dell’idea che ci razionalizza un obiettivo, conta la stratificazione “vacante” delle nostre inclinazioni. Il “fantasma” della vitalità non sarà né troppo astratto né solo materiale, bensì figurale. Quello prenderà posto “sulla scala” del senso inconscio, che spinge a “risvegliare” un tempo sospeso mediante la realizzazione d’un preciso obiettivo. La mostra di Pozzati a Padova è stata curata da Mattia Munari. Essa cita nel titolo una collezione di quadri accomunati dal formato 70 x 100 cm, senza nemmeno dimenticare la felice collaborazione dell’artista col gallerista Alberto Rolla, e più in genere il periodo d’oro per il pop. Nel complesso, il visitatore può apprezzare una vera retrospettiva.

La pop-art non “abbassò” la caratteristica irripetibilità del dipinto o della scultura, al seriale “sbandierato” della locandina, dell’etichetta, della confezione ecc… Piuttosto, bisognava che si fondessero assieme i vari oggetti con l’immagine a loro sottesa. Paradossalmente, pure la pubblicità vuole che qualcosa diventi irripetibile. Quella indurrà una preferenza d’acquisto. E’ la caratteristica estetizzazione, tramite cui un oggetto banalmente seriale appare unico solo al simulacro di se stesso (laddove si sbandieri il sotteso). Così il vivere diventa immediatamente “artistico”? Quanti oggetti ci servono, in pochi minuti! Ma Foucault spiega che la pop-art ha conservato una sana estetica. Quella dà nuovi colori e luci alla mera molteplicità, inducendo il nostro sguardo a percepirne lo sbandieramento del sotteso. Non si tratta di locandine, confezioni od etichette, bensì di locandine, confezioni od etichette fondamentalmente stravolte nel manifestare, confezionare, etichettare… noi.

Nel quadro ad olio su cartoncino Senza titolo (del 1962), Pozzati quasi “gioca” sull’illusione dell’optical-art. C’è una cornice interna, che s’apre come una “finestra” sul panorama, chissà quanto ad ingrandire i fusti vegetali, rispetto ai grattacieli urbani. Foucault introdusse alla biopolitica, tramite cui uno Stato preme perché si prevengano i danni causati da una sorta d’etichetta affibbiata al cittadino medio. Il caso odierno, in tal senso, concernerebbe il diffusore del virus. E’ uno zoom che “sospende” la temporalità individuale, complici le restrizioni alla libertà di movimento. Nel dipinto di Pozzati, forse noi possiamo chiederci quanto il grattacielo realmente pulluli di “respiri vitali”. Quello, se accostato all’ingrandimento per il ciuffo d’erba, curiosamente arriverebbe a “sbandierare” come l’amichevole saluto d’una mano. Nella città metropolitana, si perde l’abitudine alla pausa, ad esempio mentre abbiamo fretta d’accaparrarci il parcheggio più vicino alla nostra meta. Quindi siamo continuamente proiettati da un “massaggio” subliminale. Mistifichiamo lo stress quotidiano scaricandolo sulla temporalità sospesa d’una marcia, d’una maniglia, d’una penna ecc… Pozzati usa l’artificio della doppia cornice per elasticizzare la dialettica fra il vissuto e l’inconscio. Noi ci specchiamo, facendo spuntare come l’erba ogni desiderio di grandezza. La cornice interna ha la carnalità del rosso, forse ad esorcizzare l’abitudinario grigiore dell’indifferenza metropolitana. Bisognerà restare “vigili” coi propri obiettivi, sul “languore” dello stress a mo’ di “stato vegetativo” sul vissuto.

Nel quadro che s’intitola Dal dizionario delle idee ricevute (del 1976), a tecnica mista, c’è una composizione fra buste da lettere e fotografie di ritratto. Torna l’illusione dell’optical-art, se la serialità quotidiana sembra capace d’aprirsi ad un altro mondo. La fotografia immortala; ma essa avrà uno zoom tale da “rispedire al mittente” ogni “ispirazione”? Forse il nozionismo funziona come un “fantasma” per l’intelligenza rielaborante. All’angolo in alto a sinistra, vediamo la rappresentazione d’una scarpa, assai elegante. Sembra che si citi Cenerentola, e quindi la difficoltà di trovare l’idea giusta, fra le tante intuizioni. Questo varrà sempre, a prescindere da quanto si canonizzerà uno stile (pittorico, nel caso di Pozzati). Una busta da lettere a volte può chiudersi per la “scrivania” dell’intimità, senza viaggiare grazie al servizio postale. Nascerà una dialettica sulla “scala” del ricordo. La capacità di rammemorazione è sempre vacante, sulla propria nitidezza. Mentre la fotografia immortala la realtà temporale, la busta protegge la spazialità sentimentale. Nessun dizionario riesce a “tarare” una lacrima agli occhi! Pozzati non sembra tanto interessato all’apertura d’un altro mondo (come Lucio Fontana), quanto piuttosto a zoomare avanti ed indietro la dialettica fra l’accettazione del passato perduto e l’illusione d’un ricordo sostitutivo.

Nel quadro dal titolo Per una pietà della produzione (del 1973), a tecnica mista, emerge la serialità del guanto. Questo è alzato in verticale, raggiungendo idealmente un “punto di fuga” sulla propria riconciliazione. Il pollice si percepirebbe subito < sull’attenti >, anticipando il palmo. Quello comporterebbe un “blocco militare” per l’intera schiera di dita. In una produzione capitalistica, si cercano di continuo le “alte vette” del plusvalore. Nell’insieme è una fenomenologia conservativa, che però incontra il modello d’un capo fortunatamente alla “trasfigurazione” dell’amichevolezza. Più in alto, l’icona del tappeto in pelle animale ci ricorda che andare “a caccia” d’un affare rimane labile. Le speculazioni “confezionano” l’ingrandimento incontentabile dell’ego. Questo va contro la semplicità di donarsi agli altri, giacché solo l’unione fa la forza. Un modello da imitare guadagna d’etica se ha la predisposizione ad insegnare le sue abilità. L’immagine del guanto si percepisce in via abbastanza psicanalitica. Tutta la ritrosia ad una stretta di mano va rimossa. E’ troppo facile coprirsi, mentre la freddezza della macchina industriale impedisce una vera gestualità. Nei rapporti umani, con le loro contraddizioni, serve il costruttivismo d’una competenza dialogica.

Nel quadro di Pozzati dal titolo Riposa in pace (del 1976), a tecnica mista, la busta da lettere si percepisce essenzialmente solitaria. Una “fiammella” centrale avrebbe volteggiato come un aquilone, ma per seccare i petali d’una rosa verso la cenere della notte. Nell’insieme, ci piace immaginare il fantasma d’una “dentiera”, quando le stelle materializzano la “carnalità” della propria brillantezza. Un sogno “si mangia” il pensiero! Qui la “linguetta” orizzontale non può pronunciare nessuna lettera dalla busta centrale. Né la rosa in miniatura riequilibrerebbe il palato bruciato. O forse resta un ultimo bacio, da scalare attraverso le carezze del lumino… Anche la cartina al tornasole avrà il suo “fantasma”, quando non c’è più tempo affinché il destino c’invii l’esito sempre imprevedibile delle scelte che facciamo?

Nel quadro a tecnica mista su carta Senza titolo (del 1978), sembra che le macchie di cera elasticizzino invano il trattenimento dei ricordi. Più chiaramente, una porticina di legno funge da supporto. La maniglia avrebbe perso il “lumino” dell’attesa sottesa, prima d’entrare nell’altro mondo. Il pop del collage è stato realizzato mediante gli inserti cari a Pozzati: la cartolina, la fotografia, il taccuino ecc… Qualcosa che l’artista percepirebbe in un rispedirsi all’indietro. Simbolicamente, se la fiammella tiene alto il ricordo, allora la cera lo distenderebbe verso la sua impossibilità di svelarci la bassa (ovvero semplice) realtà dei fatti. Una porticina serve per gli armadi. Là il varco tende al ritorno (sugli oggetti che vogliamo trattenere). Pozzati ricorre sia al legno logorato, sia alla “muffa” in cera del “fumetto”, che è tradizionalmente cara al surrealismo. Forse una sabbia calda potrà mediarli, favorendo la nostra percezione d’un quadro faticosamente archeologico. C’è un inserto che ha la stilizzazione d’un nemes egizio.

Nelle varie cartoline, il pop di Pozzati ripropone una commistione fra gli elementi naturali e quelli artificiali. Il surrealismo impedisce la “destinazione” d’un senso… Ma quanto lo zoom dell’introspezione inconscia potrà almeno “fruttificare”, ad esempio godendo della propria sensibilità? Una cartolina funge quasi da “natura morta” per la realtà dei fatti “resuscitabili”, oltre l’immediatezza immortalante d’una fotografia. E’ qualcosa che “seminerebbe” virtualmente un vecchio ricordo. Si spedisce sempre < a misura di > un servizio: il semplice saluto, la consegna d’un acquisto, la notifica amministrativa ecc… Fenomenologicamente non si tratta d’immortalare il passato, bensì di prendere atto per il futuro. Ad esempio, chi invia una cartolina rimarca e garantisce la sua amicizia. Pozzati raffigura la taglia del vestito, la quale presuppone d’essere provata. Più in generale, gli interessano le atmosfere sospese delle piazze cittadine, citando la pittura metafisica di De Chirico. In via psicanalitica, si tratta di capire qual è il senso della loro frequentazione. Il “classico” pop avrebbe ironizzato sul servizio del mercato, mentre qualunque collage simboleggerebbe la miniatura d’una “bancarella”.

Nel quadro chiamato Dal dizionario della produzione (del 1974), a tecnica mista, percepiamo che sia la “busta” del cuoio indossabile a mediare esteticamente fra l’artificialità umana e la naturalità animale. Il capitalismo ha una vitalità “legnosa”, che s’avvantaggerà “bruciando” i “pruriti” individuali del compratore. La tematica dello zoom coinvolgerà l’ambientalismo. Il consumatore di solito nemmeno immagina le sofferenze dell’animale che va ucciso, per realizzare il prodotto. Se la pelle è un respiro sempre “affannoso” sulla realtà, chi ac-concia prova a “tamponare” la “tachicardia” d’una libidine interiore, e grazie al relax. Pozzati mantiene la tonalità languidamente legnosa del marrone, mentre distorce una corteccia anche cerebrale. Il capitalismo è “rampicante” sulla destinazione subliminale di chi gode nel consumare la vita… prima che questa consumi lui. Al contrario, il pensiero astrattamente profondo “volteggia” in un “abbraccio” con l’intera realtà (non solo sul piano materialistico).

Nel quadro a tecnica mista Senza titolo (del 1959), Pozzati rappresenta una sorta di bocciolo. E’ il solito tema dell’astrazione che cerca di “scalare”, e dal pop verso il surrealismo. Ma il petalo prenderebbe il tono sia rosa del dito o dell’orecchio, sia dal grigio d’una pietra che si trasfigurasse nell’avorio d’un dente. Così diventa uno “zoom” astrattamente completo sulle “larghe intese” del mondo materiale: dall’inorganicità all’uomo, e passando attraverso la vegetazione. Prendendo spunto dal titolo della mostra, ricordiamo che noi in media siamo fatti al 60% d’acqua, rispetto alla massa corporea. Pozzati esteticamente ci sembra più interessato al fuoco. Ma anche una fiamma ondeggerebbe, rispetto al corso della vita. Il bocciolo appare sospeso in aria. L’esistenza è sempre limitata da una connessione con l’esteriorità. Forse, in chiave surrealistica, le dune dalla sabbia incerta, in terra, potranno “rinfrescarsi” al flusso delle nuvole, se non addirittura umanizzarsi, per uno zoom “nascosto” dal rosa della pelle al grigio del respiro.