LOBODILATTICE

// Focus on artist // : L’ “iperrealismo mediterraneo” di Emilia Ruggiero e il Salento creativo alla riscossa

Il Salento, terra magica e selvaggia di bellezze naturali e di spiritualità quasi primordiale, è  culla di diversi talenti della nuova arte contemporanea tutti da scoprire, valorizzare e addirittura creare.

E’ in questo contesto che, per la rubrica “Focus on Artist”, Lobodilattice ha incontrato e intervistato Emilia Ruggiero, artista di Mesagne, in provincia di Brindisi, classe 1979, che attraverso la sua arte esprime una personalità intensa e profonda. Lo stile della pittrice può essere accostato ad un originale “iperrealismo mediterraneo”, che colpisce per l’accostamento dei colori caldi e per l’intensità dei soggetti scelti: da autoritratti a ritratti di gente comune, l’artista di Mesagne affronta diversi temi, quali ad esempio femminilità, dell’amore e della maternità. Ha realizzato alcune linee di gadget in acrilico quali “People”, nel 2012 e quest’anno, “A cuor leggero”, un racconto per immagini – realizzato con materiali riciclati - che narra, con grande delicatezza, la sua esperienza di neomamma. Autrice di diversi cartelloni pubblicitari per svariate manifestazioni culturali, in cui spiccano le sue doti in campo grafico, è stata tra le artiste protagoniste della collettiva dedicata a Frida Khalo “107 volte Frida”, ideata dall’artista Massimo Pasca e realizzata al Barrìo Verde di Alezio (Le).

Quando hai iniziato il tuo percorso artistico e in che modo si è accesa in te la  scrittura creativa?

Fin da piccolissima avevo l’attitudine e disegnare, a dipingere: era l’unica cosa che calmava la mia irrequietezza, come diceva anche mia madre che mi ripeteva: “Da grande diventerai pittrice”. Poi in realtà nel mio percorso di studi ho scelto il liceo artistico e sono strafelice di questa scelta perchè mi sono resa conto che molto di quello che faccio adesso, paradossalmente, proviene da allora: l’amore per il colore e la scelta a volte anche grafica, fanno proprio parte della prima formazione. L’arte è una passione che c’è sempre stata nella mia vita e poi io l’ho trasformata in qualcosa di più che una semplice passione e ho deciso di intraprendere il discorso dei Beni Culturali. In quel periodo iniziava la crisi economica e nascevano le lauree “nuove”. Ho sempre amato l’arte e posso dire di aver sviluppato autonomamente la mia cifra stilistica perché, non avendo frequentato l’Accademia, poi ho continuato per fatti miei ed è andata avanti così.

Ho sempre scelto, anche dopo la laurea, di fare il tirocinio e dopo di prendere sempre dei lavori part-time che non c’entravano niente con l’arte - come ben sai non siamo in un periodo florido di possibilità lavorative - e quindi mi sono sempre barcamenata per ritagliarmi sempre il tempo per creare, anche quando ho dovuto scegliere se rimanere qui in Salento o spostarmi fuori dopo la laurea. Ho scelto di rimanere qui in Salento perché potevo permettermi di fare un “salto” (di qualità esistenziale n.d.r.) con una casa studio, di individuarmi come persona, di fare un salto di maturità. Ho fatto proprio i conti pensando che, se fossi andata fuori al massimo avrei trovato un lavoro che mi avrebbe riempito la giornata h 24 e non avrei trovato materialmente il tempo per dipingere..quindi ho pensato che avrei fatto meglio a rimanere qui e a 29 anni ho preso casa da sola, una casa-studio, continuando la mia ricerca. Mi sono sempre barcamenata così e così continuo a fare.

Per quanto riguarda i modelli a cui ti sei ispirata a livello artistico, ci sono e se sì, quali sono? Quali sono le correnti che t’ispirano maggiormente? Ho visto che c’è molto iperrealismo nelle tue opere e che sono anche molto colorate, con colori molto contrastanti, quindi, a livello d’ispirazione creativa rispetto all’arte contemporanea in generale, ci parli dei tuoi modelli, se li hai avuti, e di come si è sviluppato il tuo percorso artistico nel corso degli anni?

Non credo di aver avuto dei veri e propri modelli. In linea di massima apprezzo tutta l’arte. Non sono una persona giudicante, come ti ho già detto quando ci siamo interfacciate personalmente, tendo a non guardare molto il contemporaneo nel senso che non mi piace vivere una dimensione di paragone, perché vorrei che quello che gli altri fanno non influenzasse la mia ricerca. Quindi tendo sempre a guardare al passato a livello formativo. Con il contemporaneo mi piace confrontarmi umanamente. Dunque, se instauro un rapporto umano con l’artista, mi piace prendere, confrontarmi, domandare, e mi piace instaurare umanamente uno scambio. Sono molti gli artisti che stimo e sono felicissima di vedere quello che producono i giovani perché poi è un dato di fatto, non è un modo di dire: il Salento è ricchissimo di creatività. Vedo che si sta muovendo anche qualcosa, e io stessa prossimamente metterò in piedi un’associazione a sostegno della giovane creatività, non perché io mi ritenga “grande” ma insomma non ho nemmeno più 20 anni e quindi vorrei fare tesoro delle difficoltà che ho avuto io quando ho iniziato a creare.

Insomma è importante, all’inizio del proprio percorso, avere qualcuno che ti pubblica anche un piccolo primo cataloghino, anche se devi spostarti fuori per fare vedere il tuo lavoro devi avere anche qualcosa di più ordinato da mostrare, no? …una carta da giocare, perché noi ad oggi nel territorio non abbiamo un gallerista che segue la creatività locale, che faccia delle esposizioni locali, che realizzi dei cataloghi di artisti locali giovani. Mi piacerebbe riuscire a mettere in piedi un’associazione, speriamo anche in questa nuova amministrazione (del Comune di Lecce ndr)..sicuramente c’è gente sensibile adesso a capo della città e speriamo di poter essere aiutati in questo percorso..Modelli non ne ho avuti, quando studiavo mi ricordo che facevo i salti mortali: appena vedevo una mostra carina viaggiavo in treno da sola, la notte, facevo i viaggi e andavo a vedere. Ripeto, il discorso dei colori per me deriva proprio dalla mia formazione perché io ho frequentato un liceo artistico con indirizzo grafico-visivo quindi ho fatto una grande ricerca sul colore.

Infatti sei autrice di molti manifesti che riguardano anche manifestazioni musicali e culturali in genere, quindi curi molto anche la parte grafica e hai creato una linea di gadget che si chiama “People”…

Si, quella linea di gadget è venuta fuori dopo una produzione che avevo fatto, anche abbastanza copiosa, sui ritratti. E partivano da fototessere di gente comune: non ci sono star, non ci sono vip, non ci sono icone, non c’è niente di tutto questo ma unicamente gente comune, per questo motivo si chiama  “People”. La mia ricerca spesso parte da me stessa: l’autoritratto nasce dal fatto che io, conoscendomi distintamente, cerco d’indagare l’animo umano aprendomi verso gli altri e rappresentando questi volti, questi occhi. L’idea dei gadget è nata durante un trasloco: ho pensato di far uscire fuori questo lavoro, farlo vivere, anche se io non sono una che si espone molto, ma non per riservatezza.

Quello dell’artista è un lavoro a tutti gli effetti che implica anche partecipazione. Io sono d’accordo con il lavoro fuori casa, con le manifestazioni, però se non ti portano a niente, arrivati a un certo punto anche basta. E’ come svendere il proprio lavoro. Si, io arredo il locale ad un committente, ma sembra sempre che questo mi stia facendo un favore, quando invece sei tu che stai dando agli altri bellezza, stai facendo fruire la tua opera agli altri. Per questo motivo seleziono sempre quello che faccio, perché realizzo molte cose a casa. Per “People” ho organizzato tanti aperitivi a casa che ho aperto alle persone e c’è stato tanto movimento. Mi piace inoltre collaborare con le persone che mi piacciono: se una persona non mi piace o magari non ne stimo non tanto la produzione in sé, ma proprio lo stile di vita e quello che fa allora niente..a me piace confrontarmi con la gente lavoratrice, che si dà da fare, che non si piange addosso, aperta, che non giudica: ritengo che la positività sia una cosa importante nella vita.

Hai realizzato, quest’anno, anche un racconto per immagini che si chiama “A cuor leggero”. Ci parli di questa tua iniziativa?

Quest’ultima produzione è in realtà nata finalmente dalla voglia di rimettermi con i pennelli in mano perché sono stata ferma due anni dopo la maternità.

Infatti uno dei temi principali che tu affronti è proprio quello della maternità, attraverso gli autoritratti..

Si, questa produzione è nata in maniera semplice, molto grafica, con materiali di riuso, perché sono tutti dei cartoni pressati, trovati da imballaggi vari, e poiché mi sembravano dei materiali nobilissimi, mi dispiaceva buttarli. L’acrilico, poi, rende bene sia sul legno sia su cartone, e ho deciso così di iniziare ad utilizzare questi materiali. Ne è venuta fuori la linea che ho chiamato “A cuor leggero”, perché appunto sono immagini fresche, i materiali usati sono leggerissimi. A me è piaciuta molto, insomma, mi ha fatto stare bene quando l’ho realizzata perché la maternità mi ha dato questa sicurezza in più rispetto al fare, ti responsabilizza. Ho pensato che, avessi creato opere brutte, le avrei semplicemente cancellate. Prima, invece, mi arrovellavo per la pennellata giusta qua o là..Con la maternità prendi tutto con più leggerezza.

La maternità ti ha dunque fortificato, ha arricchito la tua ispirazione artistica..

Si molto, moltissimo. Mi ha reso sicuramente più svincolata anche dal giudizio degli altri, anche perché nella vita non si può piacere a tutti. E’ importante, secondo me, non dipendere dal giudizio degli altri perché, non volendo, a volte condiziona anche quello che fai. E la tua libertà viene così limitata. invece bisogna tenere sempre ben presente che, dall’altra parte, anche gli addetti ai lavori sono delle persone come te, che si alzano la mattina, si vestono, mangiano, si arrabbiano esattamente come te. Se a X o a Y può non piacere quello che tu fai non è la fine del mondo. Cioè, è solo una persona come te a cui non piace quello che fai, ma uno non sono mille, non sono tutti, e soprattutto io penso che le critiche, i confronti, debbano sempre essere costruttivi: accetto anche la critica dell’altro, purchè venga argomentata, ben fatta nel rispetto, sempre. Così le critiche ti aiutano a crescere. Diversamente è “fuffa”, è aria fritta, ti bloccano e basta, non ti fanno andare avanti. E’ vero che sono sempre gli altri a giudicare quello che fai, però devi sapere tu qual è il tuo fine ultimo. Il mio non è quello di piacere necessariamente ma di lasciare un segno della mia esistenza, in quello che faccio.

Per quanto riguarda l’ambiente artistico del Salento c’è molto da fare ma sicuramente, come abbiamo detto prima, intravedi comunque belle prospettive da parte delle nuove generazioni. Come bisogna riempire questo spazio, che è appunto tutto da costruire?

E’ questa la cosa bella: io stessa, quando ho dovuto scegliere se spostarmi ormai laureata o rimanere qua, ho scelto di rimanere qui perché, paradossalmente, è vero si che al Sud c’è poco rispetto al Nord, però c’è anche tanto da fare. Quello che vedo di bello nella nuova generazione è che i giovani di oggi hanno fatto tesoro della crisi in cui ci siamo trovati noi, che eravamo un po’ sprovveduti. Ci siamo trovati proprio a cavallo tra la fine del lavoro e questa crisi economica.

Noi, che eravamo figli dell’idea del posto di lavoro fisso, ci siamo ritrovati un po’ come pesci fuor d’acqua e ci siamo dovuti inventare il lavoro stesso, ci siamo dovuti scontrare anche con questa paranoia, con questa difficoltà, con questo stato depressivo, che è stato la perdita di certezze. Abbiamo scelto, anche nel campo dello studio, un po’ alla carlona, andando un po’ a braccio, a istinto. La passione non basta oggigiorno. La nuova generazione la vedo un po’ più strutturata, i ragazzi di oggi sanno come si devono muovere, sono anche più padroni dei nuovi mezzi rispetto a noi. Noi abbiamo imparato, però loro ovviamente nascono già con un background differente. Io sono molto ottimista perché c’è tanto da fare: sono per l’indipendenza, sono per l’idea di scardinare il sistema perché è assurdo, inconcepibile, che in questo sistema-arte l’ultima ruota del carro paradossalmente siano gli artisti. Gli artisti sono quelli che creano mentre i curatori, i galleristi vengono assunti a giudici di tutto. Ma poi in realtà non ci si rende conto che loro esistono perché esisti tu. Se non ci fossi tu a produrre loro non esisterebbero.

Infatti nel sistema dell’arte contemporanea, ma forse da sempre nel mondo dell’arte e soprattutto gli artisti italiani, per stare a galla dovevano, nelle epoche precedenti, essere dei servi di corte.. Probabilmente all’estero si è  un po’ più liberi.

No, no, questo sistema deve essere scardinato. Ognuno lavora, ognuno dev’essere imprenditore di se stesso. Si può fare, attraverso un po’ di convinzione per quello che si fa, appunto senza stare a guardare troppo a quello che gli altri vorrebbero. Bisogna andare per la propria strada, credere in quello che si fa, avere ovviamente - come ci siamo già dette al nostro primo incontro - i mezzi per farlo, perché questo è fondamentale. Artisti non si diventa da un giorno all’altro: devi avere una formazione, devi avere una cultura, devi avere una tecnica.

Ti faccio una domanda, che riguarda la connessione tra l’arte e i nuovi media: l’argomento di cui abbiamo già parlato ma lo chiariamo: per quanto riguarda l’arte in connessione con i nuovi media e il rapporto con la tecnica: pensi che ci debba essere un background di formazione, non ci si può improvvisare, giusto?

Ovvio, anche se questo non è tanto ovvio oggi perché esiste un sistema fallato, in cui in realtà spesso - ma non sempre, ovviamente, perché ci sono tanti artisti supermeritevoli, non è che bisogna smantellare tutto, bisogna essere oggettivi - c’è anche molta “fuffa” che esiste perchè c’è tutto un sistema-arte che la sostiene. Io, ti dico, ho sofferto quando ero più piccolina per il fatto di non aver trovato un mentore, qualcuno, che mi indirizzasse, una galleria di riferimento. Con il tempo per me questo è diventato invece un punto di forza, perché è vero si che il gallerista ti può facilitare il salto, però appunto, poichè questo sistema-arte specula molto, purtroppo spesso è successo che le giovani promesse siano state compromesse: si sono ritrovate con queste carriere-lampo iniziate e subito concluse. Dunque, se non sei strutturata come persona poi non ce la fai a reggere la botta. Per cui un giorno sei tutto e il giorno dopo ti dicono: “guarda tu non vali niente perché quello che fai non piace più”. Puoi affrontare questa cosa a 40 anni, a 20 ti dai la zappa sui piedi, quindi alla fine per me l’indipendenza è diventata un punto di forza in realtà, con grandissimi sacrifici. A me non ha regalato niente nessuno. E comunque la mia è stata una famiglia molto emancipata, questo lo riconosco ai miei genitori. Spesso però non è così. Dire alla famiglia: “Faccio questo sacrificio perché voglio creare” significa rischiare che un genitore ti redarguisca perché veniamo dal retaggio dello stipendio fisso da trovare. Quindi mi sono dovuta barcamenare per cercare di essere indipendente e scegliere di proseguire su questa strada. Non mi sono aspettata che lo facessero gli altri per me. E si può fare. Rispetto alla tecnica è importante la formazione, come in tutti gli altri settori.

Sei favorevole all’introduzione nel mondo dell’arte – per esempio adesso va di moda l’installazione, la video arte e così via - dei nuovi media?

Sono molto ignorante in questo, nel senso che -  nonostante abbia una formazione artistica decennale e studi arte da sempre - ci sono molte cose che non riesco a comprendere. Ma probabilmente è un mio limite, è una sensibilità che non ho. Molte cose non le capisco, però è vero anche che non sono proprio una cultrice di questo tipo di lavoro, quindi rimango sempre un po’ sulle mie in questo senso. Sono per tutto, si ma per il tutto fatto bene, perché per me, già il fatto che qualcosa sia fatta bene è sinonimo di qualità. Poi, che possa essere una cosa ridondante, manierista …comunque va bene se è fatta bene. Se torniamo indietro nel tempo, magari i termini erano differenti, c’era il genio, c’era il manierista, che poteva non essere geniale ma sempre di una cosa ben fatta si trattava, o sbaglio? A chi pensa che la tecnica non sia importante rispondo: “e allora che cosa è importante? Possiamo capire cos’è importante?” No perché se veramente pensate di mettervi di fronte ad un quadro e trovare chissà quale sostanza, chissà quale contenuto, io sono dell’avviso che ¾ delle parole che vengono dette sulle opere siano stronzate, nel senso che un artista in quel momento neanche le sta pensando, sta facendo quello che sa fare al meglio. Se poi è un genio ovvio che c’è una scintilla in più. Se non è un genio, è un’opera ben fatta, a volte anche solo per diletto. Non è che per forza ci debbano essere tutte queste parole che abbiamo bisogno di dire “voleva dire, questo significa quello”. E’ tutto molto più semplice. Se si guardasse all’arte così, tutto diventerebbe molto più accessibile in realtà perché queste parole, queste sovrastrutture allontanano e allontanano anche l’artista dalla possibilità di poter vivere di arte. Perché a una persona magari teme di avvicinarsi all’artista e chiedere: “Scusami, come mai hai creato questo?” L’artista viene reso quasi inaccessibile. E questi ambienti troppo laccati, troppo elitari non servono a nulla, non servono agli artisti.

Servono a chi ci campa sopra..

Esatto, è quello che ti volevo dire, quindi io sono sicura che il Salento possa fare il salto dell’arte e dell’arte indipendente, perche ci sono elementi, c’è la sostanza secondo me. Io per esempio apprezzo moltissimo artisti del nostro territorio con i quali mi sono sempre interfacciata:  apprezzo moltissimo Cheko’s per esempio. Li apprezzo moltissimo perché è gente semplice, che si dà da fare, che si confronta in maniera semplice. Apprezzo molto Massimo Pasca con cui ci conosciamo da un bel po’, poi ho avuto tanti confronti umani con musicisti, artisti come Alessandro Passaro che è del mio paese, Millo ossia Francesco Giorgino, anche lui originario di Mesagne con cui eravamo amici di comitiva…parliamo proprio di una formazione in comune.. Andrea Wany, che vive a Milano, per fare un altro esempio, era proprio mio amico del liceo. Poi alla fine anch’io sono figlia di un buon momento artistico. Ripeto, posso piacere o non piacere…proprio oggi dicevo a Cesare (Liaci n.d.r.): “Io non so se poi ai miei colleghi piace quello che faccio, non so se poi io piaccio alla fine, e lui mi risponde: “Dici di no?”. Dico “Non so, perché io poi - tranne le persone a me vicine con cui mi confronto - non sento tutto questo calore da parte degli artisti” dico. A me, invece, piace sostenere molto gli altri artisti, perché alla fine penso che siamo tutti nella stessa barca.

Abbiamo appena partecipato insieme alla bellissima iniziativa su Frida Khalo…

Molto bravi i ragazzi del Barrìo Verde.

Sono stati bravissimi, anche le altre artiste sono state bravissime, però io vorrei farti una domanda specifica: qual è il rapporto che secondo te ci dovrebbe essere tra l’arte e la politica? Pensi che l’artista debba dimostrare la sua ideologia politica, che si debba schierare oppure debba essere al di sopra delle parti?

Io penso che l’artista debba essere quello che si sente di essere, quindi, se ha delle grandi motivazioni politiche, delle cause importanti che sente di voler sostenere è giusto che lo faccia.

Perché spesso si dice che l’artista debba essere al di sopra della politica..

Come ci siamo già dette penso che la sensibilità di un artista nasca sempre da un sentire profondo. Ovviamente c’è sempre una grande sensibilità a monte di un artista, sempre. Guai a chi dice che non è così. Quindi, poichè quello è un angolo di pace e di libertà profonda che un artista sente il diritto di doversi ritagliare, può fare ciò che vuole. Quindi, se una persona decide, se un artista decide di voler manifestare il suo pensiero con un’opera piuttosto che un’altra, perché non dovrebbe farlo? Così come sinceramente io trovo alcune polemiche di carattere politico sterili e inutili. Se gli artisti riescono in qualche modo a trovare un sostegno da parte di un’amministrazione sensibile, che sia di destra, che sia di sinistra è inutile farne una questione di colore, perché le persone prima di tutto sono esseri umani con una sensibilità. Quindi, se c’è un’amministrazione che ha una sensibilità culturale con uno sguardo volto all’arte e se si riesce ad instaurare un rapporto proficuo e venga dato agli artisti  uno spazio in cui poter esporre, piuttosto che un piccolo finanziamento, ben venga! Sono delle possibilità che vengono date all’artista e non vedo perché non coglierle.

Io parlavo proprio del rapporto tra l’arte e la politica, concettualmente, perché molti dicono che non ci si dovrebbe immischiare nelle questioni politiche. Questa domanda è consequenziale sia al tema di Frida Khalo,  che ora sviluppiamo, che alla domanda che dà il nome alla mia rubrica, e vedrai qual è. Per quanto riguarda la figura di Frida Khalo - così come abbiamo già detto, ma diciamolo anche qua -  scripta manent: questa grandissima artista, per te, cosa rappresenta?

Per me è una donna piena di passione, è molto impegnata politicamente, è figlia di quegli anni e in quel frangente è stata un’attivista nel vero senso della parola. Ovvio che è una figura, che io - come diceva appunto Massimo Pasca - conoscevo già prima delle mode. Nel mio percorso di studi l’avevo incontrata prima delle mode, e, ovviamente, da donna, non ho potuto che stimarne il temperamento e la libertà, anche perché, relazionata a quegli anni non era una roba da lasciare indifferenti. Per me è stata in tanti anni il mito per il discorso amoroso, perché comunque, insomma, per una donna giovane come lei, confrontarsi con un artista già affermato non è stato semplice. Poi, quando cresci, da donna inizi a capire cosa siano stati i confronti amorosi e non è mai semplice confrontarsi con l’altra metà, soprattutto quando si è entrambi personalità forti, che fanno la loro cifra. Perché finchè la donna è sottomessa all’uomo ( “zi badrone, va tutto bene, io pulire, tutto apposto, tu andare a lavoro io pulire, se torni a casa preparo la cenetta”) non va affatto bene. Ma quando dall’altra parte si è strutturati e si vuole anche vivere e portare avanti il proprio percorso e la propria libertà e individualità, diventa anche un po’ difficile tenere in piedi questi rapporti perchè non è semplice. Dunque Frida ha rappresentato per me la donna che comunque, con il suo lavoro è andata avanti, nonostante tutte le pene amorose. Poi questa storia d’amore è stata molto romanzata, no? Chissà quanto avrà sofferto Frida per Diego Rivera! Con il senno di poi, invece, si vedono solo le cose laccate, belle, splendide, infatti dico sempre a Cesare: “Oh Cesare, dovessi morire ma una volta morta fare fortuna… se muoio prima io, non far spostare niente da dentro casa perché non mi ha cagato nessuno mentre ero viva”. Sti revival, come De Candia ad esempio..De Candia..il mito..De Candia cosa? Poveretto! è morto come uno psicopatico, un malato mentale, un relitto della società! Sai col senno di poi..

Eh, la morte glorifica..

Si, la morte glorifica, la morte ti fa bella, è vero. Io ho perso mio padre..ma una cosa che ho sempre detto, da subito è che io il processo di beatificazione a mio padre non lo farò, perchè mio padre è stato un gran viveur, e non è stato semplice vivere con lui. Però ho visto tanta gente, anche persone più grandi di me, che perdevano i genitori e se li piangevano come se fossero state le persone perfette. No! Bisogna essere onesti, siamo esseri umani, tutti questi romanzi dopo mi sanno un po’ di posticcio. E quindi io Frida Khalo l’ho sempre apprezzata perchè vedevo questa estrema libertà che ha imposto, che si è presa con fatica perché non sarà stato semplice, per lei suppongo, vivere questa grande sofferenza, anche amorosa, che le ha dato forse anche la grinta, e poi il fatto che lei sia riuscita a trasformare questa condizione pietosa di immobilità, di dolore fisico in qualcosa di sublime, quindi che sia riuscita a fare di questo dolore un’opera d’arte è la cosa più bella che possa esserci. L’eredità spirituale che mi ha lasciato lei è il fatto di partire sempre da me, perché penso che non si possa conoscere niente meglio di se stessi, quindi io parto sempre dal discorso individuale. Io parlo di me stessa, ma non perché io sia qualcuno, ma perchè io sono un essere vivente, e, se è vero che faccio parte della collettività, e che sono Emilia, che vive nel 2017, sono una voce di tutti noi oggi. Dunque io parlo di me e fra 20 anni diranno, “Ah guarda, questa all’epoca parlava di questo quindi evidentemente magari succedeva questo”..Insomma racconto delle cose, e voglio continuare così perché, ripeto, ho una formazione artistica, mi sono approcciata al discorso arte e con vari mondi artistica e sto bene così. Lavoro per fatti miei e attingo la grinta dalle persone che incontro, i rapporti umani mi danno sempre energia, credo molto nell’umanità, penso che non si possa fare niente senza il confronto con gli altri e il sostegno reciproco tra le persone, tutto in maniera molto naturale e semplice, e secondo me così dovrebbe essere.

Hai sempre affrontato anche il tema della femminilità nelle tue opere..

Beh si è fondamentale per me, perché è un mio percorso di vita, non ho avuto una vita semplicissima, però ho avuto delle figure importanti e da subito ho capito che la vita non è una passeggiata. Anch’io, quando ho dovuto scegliere, ho deciso di trovare un mio equilibrio - perché senza equilibrio non puoi fare nulla - e poi di andare avanti per la mia strada. L’associazione con Frida, per quanto mi riguarda, è arrivata dopo ed è stata fatta dagli altri, perché comunque, sai penso – per quanto riguarda il discorso dell’autoritratto – che sia stata un’associazione facile che è stata fatta dagli altri tra me e Frida. Poi io ci ho anche giocato realizzando un’opera, un tributo a lei che è stata il nostro mito ma non è stata una manovra voluta, anzi, io ho cercato poi di scardinare il discorso dell’autoritratto passando poi a realizzare i ritratti degli altri.

Tornando al discorso tecnica, la passione per il ritratto è nato da un episodio particolare che mi è accaduto. All’epoca mi ricordo che in giro c’era un tizio che faceva tante estemporanee, lo chiamavano da tutte le parti, non lo conosco neanche, nè mi ricordo il suo nome e cognome. Però mi ricordo: che bruttezza! Si vedeva proprio che era una roba improvvisata, che questo “artista” non aveva tecnica, studi, ma lo invitavano da tutte le parti! Finchè un giorno, durante una manifestazione in cui questa persona stava realizzando uno dei suoi lavori, aveva abbozzato un volto, e io mi ricordo che guardai quel volto e dissi, “Mamma mia, che brutto!”. E da lì, per reazione, nacque in me la voglia di creare una serie di volti. E’ stata una mia risposta a quell’assenza di rispetto per l’arte. Da lì ho iniziato a prenderci gusto ed ho realizzato una galleria di ritratti che poi ho sviluppato in gadget.

L’arte è rivoluzionaria a tuo avviso?

Si, io credo che l’arte sia rivoluzionaria, perché rappresenta lo spazio di liberà che ogni artista riesce a ritagliarsi. Prima di tutto l’artista è una persona che sente profondamente e quindi si crea questo spazio in cui poter essere se stesso fino in fondo. L’arte è rivoluzionaria, oltre che essere educativa, terapeutica. E’ accogliente perché è in grado di infondere un sentimento di condivisione – molti con all’arte riescono a sentirsi meno soli – dunque si, assolutamente, l’arte per me è rivoluzionaria.

Progetti futuri?

Oltre a realizzare l’associazione per promuovere gli artisti in erba di cui avevamo già parlato, come   progetto futuro curerò la prossima edizione del Marta, il mercatino di arte accessibile. E’ un progetto nato nel 2013 che ha già avuto due edizioni e si tratta di un mercatino di artisti giovani che dà la possibilità di esporre in una due giorni, tutto a prezzo low cost per incentivare la vendita. E quest’anno lavorerò per la sua terza edizione.

 

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