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“IN CONVERSATION” STEFANO PERRONE, PRZEMEK PYSZCZEK - Chapter I

Inaugura

Mercoledì, 11 Marzo, 2020 - 19:00

Presso

Ribot gallery
Via Enrico Nöe 23

A cura di

Domenico De Chirico

Partecipa

STEFANO PERRONE, PRZEMEK PYSZCZEK

Fino a

Mercoledì, 11 Marzo, 2020 - 21:00

“IN CONVERSATION” STEFANO PERRONE, PRZEMEK PYSZCZEK - Chapter I

Comunicato

«La morte dell'altro uomo mi chiama in causa e mi mette in questione, come se io diventassi, per la mia eventuale indifferenza, il complice di questa morte, invisibile all'altro che vi si espone; e come se, ancora prima di esserle io stesso destinato, avessi da rispondere di questa morte dell'altro: come se dovessi non lasciarlo solo nella sua solitudine mortale.»
(E. Lévinas-A. Peperzak, Etica come filosofia prima [1989], trad. it. di F. Ciaramelli, Guerini e Associati, Milano 2001, III, 4, p. 56.)

Ab origine e secondo la pluralità di moduli che ingloba, il termine dialogo (dal latino dialŏgus, in greco antico διάλογος, derivato di διαλέγομαι «conversare, discorrere» composto da dià, "attraverso" e logos, "discorso") indica il confronto principalmente verbale, inteso come procedimento di ricerca a tutto spiano, condotto tra due o più interlocutori e inteso come strumento per esprimere sentimenti eterogenei, i punti di vista di ciascuna delle parti coinvolte e per discutere di idee non necessariamente contrapposte. L’interazione dialogica, qui intesa come strumento di strategia espositiva tra due volti, va certamente intesa, nel suo significato più intrinseco, come momento di apertura, libertà di scambio reciproco, rispetto e accoglienza dell’altro. Nella fenomenologia dell’intellettuale francese Emmanuel Lévinas, per esempio, il dialogo, che coinvolge esseri umani finiti nella ricerca di una verità non terminabile, diventa strumento di una coscienza intenzionale che incessantemente tende verso l’infinito ed è fortemente connotato dalla presenza del sensibile e dal desiderio di svelare l’invisibile. La conversazione, intesa come sinonimo di dialogo, si articola in due momenti: prima quello dell’apertura, intesa come inizio della conversazione stessa, e successivamente quello dello sviluppo, meccanismo tipico dell’analisi conversazionale che si basa sulle famigerate coppie adiacenti, altrimenti dette di azione e reazione. La conversazione si può certamente considerare come la forma prototipica del dialogo faccia a faccia e, nello specifico, con il dialogo condivide infatti i due tratti centrali dell’interattività e dell’intenzionalità. E come in ogni produzione linguistica, le varie forme della conversazione sono fortemente influenzate dal contesto. Una dialettica di stampo prettamente estetico risente di tutti questi aspetti caratteristici del dialogo e li enfatizza portandoli all’estremo limite, palesando una ricerca continua verso un non detto che si dice tra balzi strutturali e rimandi visivi in un gioco infinito che affonda le basi nell’articolata ricerca artistica dei due interlocutori.

Identità e macrocosmo umano sono certamente protagonisti indiscussi dell'intera ricerca di Stefano Perrone. Volti, corpi, posture, oggetti animati o inanimati, gesti e tutti quegli elementi relativi e indispensabili si traspongono, si interscambiano per poi mutare pedissequamente al fine di indagare un'evidente crisi dell'individuo contemporaneo all'interno di una società attuale estremamente complessa di cui soffoca ogni pulsione. L'espressività pittorica di Perrone è stata protagonista di un cambiamento evolutivo, che ha la sua genesi in tutti i soggetti ritratti, spesso deformati ed emaciati, fino a giungere alla modalità attuale in cui le geometrie, le linee, la grafica vettoriale vanno a costituire entità mutevoli più simili a corpi celesti piuttosto che a corpi umani di fatto. In bilico tra il descrittivo e il conciso, tra il definito e l’indefinito, tra il razionale e l’irrazionale, l’artista analizza la questione dei sentimenti umani in relazione al, talvolta tracotante, mondo esterno. Perrone è un artista autodidatta e con anni di grafica alle spalle, il suo segno è vettoriale, il colore è ad alto gradiente, lo stile si muove tra la ritrattistica tradizionale e l’astrattismo, rinnovandosi continuamente. È da un background così lineare, avvertibile nei suoi lavori, che l’artista costruisce strutture in cui la linea si rompe dialogando con lo spazio alla ricerca di una destrutturalizzazione che decanta la bidimensionalità del suo mezzo espressivo ampliandone lo spettro visivo.
L'artista polacco di origine canadese Przemek Pyszczek, in tutta la sua produzione, interroga la sovrapposizione tra cultura Pop e politica in un momento in cui i media dirompono spudoratamente tra i due emisferi quasi come se avessero lo stesso valore socio-culturale. Le sue sculture, dipinti e installazioni affrontano tematicamente e formalmente gli aspetti utopici dell'architettura polacca nell'era post-comunista. Il suo interesse per la decostruzione si fonda da un lato su analisi formali e dall'altro su aspetti autobiografici. Con le sue opere, l'artista fa riferimento a colori, forme, caratteristiche visive specifiche, ornamenti, strutture grafiche e materiali che ricombina, condensa e sovrappone per creare nuove relazioni e contesti altri. Tra elementi decorativi esterni di edifici, recinti, parchi di divertimento per bambini, palestre e tutti gli elementi architettonici caratterizzanti del suddetto periodo storico-politico presenti in Polonia, Pyszczek esplora quel punto di attraversamento della memoria personale e di una storia sociale più ampia. L'artista allude a un distacco collettivamente condiviso poiché gli ibridi non sono mai saldamente radicati in nessuna posizione, luogo o coordinata. Forse, la coscienza collettiva è meglio realizzata attraverso opere che evidenziano una sensibilità verso “L'altro" - ciò che è al di fuori del sé serve per affinare i sensi o smantellare le prospettive deludenti. Le nuove opere di Pyszczek creano tensione per coloro che hanno a cuore sia la politica sia l’estetica e in questo processo, egli alimenta una consapevolezza, basata sulla scelta, sulla migrazione e sull'inevitabile seppur auspicabile evoluzione umana.

Stefano Perrone (Monza, 1985, vive e lavora a Monza) Ha studiato Industrial Design al Politecnico di Milano, Milano e Art direction in advertising allo IED, Milano. Sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive presso: Villa Litta, Milano, 2018; Palazzo Monti, Brescia, 2018; Alon Zakaim Fine Art, Londra, 2017; Melzi Fine Art, Milano, 2016. Ha inoltre partecipato ad alcune residenze quali: L21 gallery, Palma di Maiorca, 2019; Palazzo Monti, Brescia, 2018.

Przemek Pyszczek (Bialystok, 1985, vive e lavora a Berlino). Ha studiato Architettura alla University of Manitoba, Winnipeg. Sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive presso: Plug In ICA, Winnipeg, 2018; Galerie Derouillon, Paris, 2018, 2017; Nicodim Gallery, Los Angeles, 2016; Berthold Pott, Colonia, 2015; Peres Projects, Berlino, 2015; Kino International Kunst, Berlino, 2014.

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