LOBODILATTICE

Due righe su Salvador Dalì

Un minimo di regolarità non rientrava fra gli attributi di Salvador Dalì, figlio del suo tempo e forgiatore in qualche modo dello stesso. Per porsi all’attenzione generale dovette inventare il proprio personaggio: per la fretta lo rese a volte grottesco. Una volta a una festa di gala, si presentò vestito addirittura da palombaro.

Dalì aveva una venerazione per i suoi baffetti rivolti all’insù. Gli davano un che di demoniaco che ben si addiceva al tipo di pittura che faceva. Venerava Freud, suo nume protettore, nel nome del quale qualunque avventura espressiva gli pareva consentita. Dalì poteva, così, dare sfogo alla fantasia. La poneva davanti alla razionalità senza alcun timore di critica. Il mondo benpensante storceva la bocca: i Surrealisti erano visti come la peste, ovvero come i figli scapestrati del Movimento Dada, sorto nel pieno della Prima guerra mondiale a Zurigo, che li aveva prodotti.

 

Apollinaire, Breton (e altri) l’avevano, in realtà, creato per dare ordine e dignità al mondo dei sogni e per valorizzare i sogni stessi come nuova fonte di speculazioni intellettuali. Grazie a Freud, il mondo conosciuto poteva essere esplorato con occhi più acuti, dotati, per una magia, di raggi X. Il programma, va detto, non fu perseguito da Dalì, più dotato nell’esecuzione che nella creazione. Ma la moglie Gala, una russa d’origine, di grande intelligenza, di forte intuito e di personalità non comune, gli consigliò di seguir la strada della stranezza a tutti i costi, di sbalordire il pubblico con eleganti svolazzi virtuosistici e realizzazioni visive scioccanti.

 

Dalì fu esecutore perfetto di questo secondo programma che risultò originale ed efficace. Nell’ambito surrealista per eccellenza, Dalì non fu amato. Si diceva che il pittore spagnolo usciva dagli schemi aristocratici del Movimento, che dava più retta al pennello che alla testa, ma secondo i mercanti che contavano, Dalì era di facile collocazione, si vendeva senza difficoltà e a prezzi sempre più alti. Merito di Gala che vantava amicizie importanti, introdotte e danarose. L’artista spagnolo, grazie alla moglie, uscì dalle angustie provinciali e fu introdotto nel “bel mondo”, conquistandolo con la sue scaltre follie.

Morta Gala, Dalì perse il suo maggiore riferimento, la sua ancora di salvezza, la sua bussola. La sua arte ne risentirà in maniera inevitabile e allo stesso modo, se non peggio, il suo personaggio.